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In un post di qualche giorno fa, mi è capitato di leggere alcuni giudizi severi su chi nel suo blog, esprime pensieri individuati come poesia.

*- Chi scrive per sfogo è presuntuoso, perché sembra sapere tutto della vita.
– Spesso le motivazioni per creare valide poesie sono insufficienti perché troppo spontanee.
– Il vero poeta si analizza continuamente.
– I bambini non producono poesia, ma solo tenerezza.
– Un poeta se bravo, non pubblica sul web e meno che mai alimenta un blog con le sue poesie.*

Direi di sorvolare sulle affermazioni esposte in quanto si sconfessano a vicenda.
Che cos’è  la poesia se non l’analisi tradotta di un sentimento provato, usando parole e modalità legate al proprio vissuto?
Quindi, sempre dal mio punto di vista, non v’è nessuna presunzione nei poeti o pseudo tali, ma spontaneità, richiesta di attenzione e di amicizia. Ovviamente con le dovute eccezioni…

La poesia nasce o dovrebbe nascere dalla spontaneità di un sentimento ed è espressa con la modalità tecnica più affine al proprio percorso culturale, statico o in evoluzione.
Ovvio che lo studioso, l’intellettuale produrrà –a suo parere- opere perfette.

Però la perfezione è un motivo valido per dispiacersi di chi espone con parole banali l’emozione, il turbamento provato, lo sfogo, per la rottura della tranquilla routine del vivere?
Teniamo presente che la perfezione poetica, quasi sempre è riconosciuta postuma.

Considerando la natura umana, l’io che si sfoga ha reazioni, espressioni e modalità comuni a tutti, anche ai non acculturati, anche ai bambini. Spesso è davvero poesia che commuove e lascia echi.

C’è una poetessa ad esempio che ha raccolto gli spunti poetici dei bimbi di una classe IV e V elementare multietnica di Milano, ai quali tenne un corso di espressione: Chandra Livia Candiani. Il libro è Ma dove sono le parole?

Sono convinta che le parole trasmesse da chi scrive sui blog, non discendano sicuramente dalla presunzione di avere in tasca la verità, essendo questa relativa alla propria esperienza. Per essere comunicata è sufficiente la sensibilità di chi legge e l’umiltà di chi scrive.
La cultura agevola l’espressione dei propri sentimenti e segna le modalità differenti nella tecnica usata. Però la poesia non è pura tecnica.
Il disprezzo o la critica severa, non s’addice  e  stride quando viene espressa dal poeta, perché trasmette la perdita dell’empatia, dell’umiltà. Non dimentichiamo che l’umiltà facilita i rapporti umani…

La critica forse dovrebbe restare prerogativa asettica del critico letterario che  privilegia nella analisi dei testi la tecnica usata.
Concludo compiacendomi della democrazia in cui viviamo che tutela “gli scadenti” perché anch’essi hanno diritto alla libertà d’espressione.