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Alessandria 850: “L’eroe di Alessandria si chiama Gagliaudo

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“L’eroe di Alessandria si chiama Gagliaudo. Siamo nel 1168, Alessandria c’è e non c’è, almeno non esiste con quel nome. È una federazione di borghi, forse un nucleo con un castello. Abitano in quell’area dei contadini, e forse molti di quei “mercatanti” che, come dirà il Carducci, appariranno ai feudatari tedeschi come inaccettabili avversari “che cinsero pur ieri ai loro malpingui ventri l’acciar dei cavalieri”. 

I comuni italiani si federano contro il Barbarossa costituendo la Lega lombarda, e decidono di costruire una nuova città alla confluenza del Tanaro e della Bormida per bloccare l’avanzata dell’invasore. 

La gente di quei borghi sconnessi accetta la proposta, probabilmente perché intravvede una serie di vantaggi. Sembra che badino al proprio utile particolare, però quando il Barbarossa arriva, tengono duro, e il Barbarossa non passa. 

Siamo nel 1174, il Barbarossa preme alle porte, Alessandria langue di fame, ed ecco che appare (secondo la leggenda) lo scaltro Gagliaudo, contadino della razza di Bertoldo, il quale si fa consegnare dai maggiorenti della città tutto il poco grano che si riesce a racimolare, ne ingozza la sua vacca Rosina, e la porta a pascolare fuori delle mura. 

Naturalmente gli uomini del Barbarossa la catturano, la sventrano, e trasecolano vedendola così pingue di frumento. E Gagliaudo, che sa far lo stupido, racconta al Barbarossa che in città di grano ne hanno ancora tanto che debbono usarlo per nutrire il bestiame. 

Torniamo un momento al Carducci, pensiamo a quell’armata di romantici che piangono la notte, il vescovo di Spira che pensa alle belle torri della sua cattedrale, il conte palatino Ditpoldo dalla bionda chioma che ormai dispera di rivedere la sua Tecla, tutti depressi e oppressi dalla sensazione di dover “morire per man di mercatanti…” L’esercito tedesco leva le tende e se ne va”

Umberto Eco, Secondo Diario Minimo