Un gabbiano si posò sulla prua del mercantile, garrì e sbatté le ali insistente, una scia di piume svolazzò ovunque, insieme a un puzzo insopportabile. Leonardo, seduto vicino, lasciò cadere la penna strillando «Amedeo, caccialo via!» e si coprì la testa spaventato, «caccialo tu, femminuccia!» rispose il marinaio, ridicolizzandolo davanti a tutti. Sentendo ridere l’equipaggio, afferrò una barra appoggiata ai container vuoti e minacciò il pennuto, tenendosi il più possibile a distanza allungando le braccia. L’uccello, infastidito, forse compassionevole, si alzò in volo, ma un altro si posò sulle corde ammucchiate sotto la gru di carico, dietro Leonardo. Lui lo scacciò, ruotando la barra come un forsennato e lo rincorse nervoso, fino a vederlo volare oltre i piroscafi fermi lungo la banchina. Amedeo lo richiamò divertito, solo perché le lettere, sollevate dal vento, stavano fuggendo dalla cassetta di legno, dove le teneva per tradurle.
«Dove sei arrivato?» gli chiese passandogli un foglio raccolto sul ponte, «Qui, dove dice che un maestro guerriero tiene in ordine la propria casa come fosse un tempio, così facendo, la sua mente e il suo cuore si rafforzano e il suo corpo acquista energia» e segnò il punto con l’indice, «Don Juan mi ha detto la stessa cosa quando sono entrato nella sua chiesa per rintracciare la comunità ivoriana», Amedeo si sistemò gli occhialini, «ma tu non sei di Ognina», leggeva attento, mentre con un asciugamano si puliva le mani sporche, «il mio prete è un ficcanaso e fa sempre la spia». L’unghia rotta si posò a metà foglio, «Questa parola: “krag” non significa “energia”, ma “vigore”. Acquista vigore», lo corresse Amedeo, accarezzandogli la testa riccia con le mani callose. «Sei diventato bravissimo, se ti impegnassi tanto a scuola, tuo…», «guarda che io a scuola sono tra i più bravi!», protestò il ragazzo, alzando gli occhi e il pugno verso l’ivoriano. «E allora, perché vieni qui a imparare una lingua che non ti riguarda e non vuoi che tuo padre lo sappia?».
«È proprio perché non so cosa mi riguarda, che voglio scoprirlo, tu sai chi sei e hai scelto di fare il pescatore in Sicilia». Guardò Amedeo e incrociò le braccia insoddisfatto sapendo che l’altro non si era accontentato.
«Allora chiedilo! Ti fidi di me e non ti fidi della tua famiglia?». Gesticolava più di tutti gli altri africani conosciuti al porto e per questo, Leonardo lo aveva preso in simpatia, si capivano.
«Bastava non tenermelo nascosto, ti pare?», raccolse le sue cose per prepararsi alla ritirata, come al solito, quando non voleva accettare i consigli. Amedeo glielo aveva rinfacciato un giorno e Leonardo non si era fatto vedere per quasi un mese, ma la curiosità di conoscere il significato delle lettere di Yannick, lo aveva fatto tornare.
«Ascolta Leo, per i tuoi genitori tu sei ancora un bambino e se scopriranno che fai le cose di nascosto, continueranno a pensarlo. Domanda, chiedi e aspetta paziente. Otterrai quello che vuoi, quando capiranno che è importante». Si aspettava di vederlo tornare indietro, sedersi per finire la traduzione della prima lettera, invece lo vide scuotere la testa, alzare le braccia e andare alla scaletta deluso. «Guarda che quello che ti ho detto sta scritto nella terza lettera, quella sugli allievi che si trasformano in pantere per sconfiggere il leopardo». Leonardo si voltò eccitato «Allora torno domani…», esultò. «Tra una settimana, Leo. Domani vado in Libia, torno venerdì». Gli rispose Amedeo senza dare altre spiegazioni.
Leonardo salì sul pullman, si sedette in fondo e aprì i libri di scuola. Arrivato in città, aveva già studiato scienze e storia quando scese alla fermata. Davanti a lui, suo padre lo guardava impietrito dalla rabbia e in quel momento si pentì di aver fatto a modo suo.