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Coronavirus, ecco cosa sta avvenendo negli ospedali alessandrini. Mentre in Piemonte arrivano mascherine e dotazioni dalla Cina

Date: 13 marzo 2020 Author: Enrico Sozzetti

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Alessandria: La sanità alessandrina nel tempo del coronavirus. Ospedali sotto pressione, turni massacranti, riposi e ferie saltati, rischi purtroppo sempre alti. Ma anche, e soprattutto, la conferma di un sistema che in mezzo alle difficoltà del quotidiano (e ai tagli che si sono sommati negli anni) sta rispondendo a una emergenza mai vista per numeri e gravità. Le strutture ospedaliere dell’Asl Al stanno reggendo un impatto enorme con Tortona che è diventato il primo “Covid Hospital” piemontese, il presidio per il ricovero di soli pazienti affetti da coronavirus, pur mantenendo una parte di attività ordinarie che sono in fase di riorganizzazione. Inoltre, è stato riattivato il Laboratorio analisi e l’obiettivo è quello di fare altrettanto con quello di microbiologia che consentirebbe di effettuare direttamente nella struttura l’analisi dei tamponi test del covid-19. Nell’ospedale ‘Santi Antonio e Margherita’ di Tortona sono ricoverati oltre sessanta pazienti positivi al coronavirus, mentre grazie alla revisione degli spazi sono disponibili 11 posti letto di terapia intensiva (se ne aggiungerà a breve un altro), 50 di terapia a media intensità, oltre ad altri 23 posti letto. Ulteriori 19 saranno resi disponibili a breve nel reparto di riabilitazione.

Sugli ospedali di Novi Ligure e Acqui Terme è stata concentrata una parte delle poche prestazioni ordinarie, ma anche di ricoveri di malati di coronavirus, come ad Acqui dove è stato attrezzato un reparto dedicato specificamente alle cure, dotato di oltre venti posti letto e con quattro posti letti monitorizzati adibiti alla terapia intensiva, insieme ai sei già esistenti, mentre a Casale, dove è stato riaperto il vecchio reparto di malattie infettive (chiuso nel periodo più pesante dei tagli alla sanità) che ospita degenti colpiti da covid-19, sono stati dirottati alcuni pazienti dei nosocomi che fanno capo all’Asl Al.

Ad Alessandria, c’è l’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’, un hub per le province di Alessandria e Asti. Una struttura ad alta specializzazione che in questi giorni sta affrontando una profonda riorganizzazione interna e lo sviluppo di nuove attività, come l’esame del tampone per il coronavirus, come spiega Andrea Rocchetti, direttore della Microbiologia, dove vengono eseguiti i test. «La strumentazione di cui ora disponiamo – afferma – è molto valida dal punto di vista dei risultati forniti, ma più adatta alla ricerca che alla clinica. Questa scelta obbligata ci ha costretto a formare una equipe di tecnici e laureati competenti che si occupano solo di questo esame. Al momento sono sei più due in formazione cui si aggiungeranno altri colleghi del Centro trasfusionale e del Laboratorio analisi. Il lavoro viene eseguito sotto cappa a flusso laminare, indossando i dispositivi di protezione e che prevede la presenza di due operatori per ogni seduta analitica. Ogni seduta dura dalle 4 alle 5 ore per eseguire 24 campioni per cui la nostra capacità di “fuoco” contro il nemico è di circa 96 tamponi al giorno. Al momento non siamo in grado di fare di più per cui diventa indispensabile scegliere bene a chi eseguire il test in attesa che arrivino presto nuove tecnologie e truppe fresche. Stiamo eseguendo tamponi per tutti gli ospedali della provincia di Alessandria per cui giungono al laboratorio decine di tamponi al giorno. Le nostre energie, in questo momento, vanno usate per i pazienti che hanno bisogno di un intervento e che devono essere smistati all’interno dei reparti e isolati dagli altri pazienti. Chi ha paura di avere contratto il virus, ma sta bene, deve mettersi in autoisolamento precauzionale e attendere il risultato del proprio test – conclude – che verrà eseguito, ma con tempi un po’ più lunghi dei pazienti che stanno male».

A proposito dei reparti, oltre quaranta posti per i pazienti con il covid-19 sono stati ricavati riconvertendo la chirurgia e la neurochirurgia, con il contemporaneo trasferimento dei pazienti di queste strutture in un’altra ala dell’ospedale. La riorganizzazione delle attività di cura continuano, purtroppo sottoponendo medici e infermieri a una grande pressione lavorativa e psicologica. La prima linea è ovviamente quella del Dea (Dipartimento di emergenza e accettazione), dove arrivano i malati più gravi, in larga parte anziani, ma ci sono anche giovani.

In relazione al test per la diagnosi del covid-19, l’Unità di crisi della Regione Piemonte ha intanto disposto la sperimentazione del nuovo test rapido proposto dalla DiaSorin di Saluggia. Attualmente la metodica impiega circa sei ore per fornire l’esito del test, mentre con la nuova indagine diagnostica i tempi si ridurrebbero a circa un’ora. La sperimentazione verrà effettuata complessivamente con quattro postazioni di lavoro nei laboratori della microbiologia della Città della Salute di Torino e dell’ospedale Amedeo di Savoia.

Questa emergenza è scandita dai numeri dei malati, dai posti letto disponibili, dal personale in grado di assicurare l’assistenza e dalle dotazioni di protezione protezione individuale (dpi) a disposizione negli ospedali. Su questo aspetto è arrivata una denuncia dal NurSind di Alessandria, il sindacato delle professioni infermieristiche, che ha scritto alla Prefettura di Alessandria per segnalare «l’ormai drammatica situazione di carenza di dispositivi. Una mancata dotazione che dovrebbe, invece, essere fornita di default a tutti gli operatori che combattono in prima linea contro il coronavirus». Ma non è tutto. Il sindacato segnala, sempre in questa lettera, che Mario Raviolo, direttore regionale del 118, ha effettuato un sopralluogo alla Casa delle piccole suore missionarie della Carità di Don Orione di Tortona. Dal servizio messo in onda dal Tgr Piemonte «si vede il dottor Raviolo mentre indossa tuta ed autorespiratore in quanto da lui stesso asserito nel servizio vi è una alta possibilità di contagio nel locale oggetto del sopralluogo. Quanto affermato dal responsabile dell’emergenza è un controsenso – proseguono dal NurSind – se si raffronta con le situazioni accertate e vissute da parte del personale ospedaliero, dove i pazienti sono positivi e infetti dal covid-19. Ma nonostante ciò riceviamo giornalmente le lamentele di colleghi arrabbiati per l’assenza di dpi».

E proprio a proposito dei dispositivi di protezione, continua la collaborazione tra la Regione Piemonte e la comunità cinese italiana che «con grande generosità sta dando un fattivo contributo per aiutare il sistema sanitario a far fronte all’emergenza coronavirus in Piemonte» si legge su una nota. Grazie all’iniziativa dell’Angi (Associazione nuova generazione italo-cinese), con il contributo dell’Ambasciata italiana in Cina e del Consolato cinese di Milano, sono arrivati all’Ufficio doganale di Orbassano quattro tir carichi di dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario: 100.000 mascherine ffp2, ffp3 e n95, oltre a guanti, occhiali e tute protettive («già in corso di distribuzione alle aziende sanitarie» raccolti nella regione di Zhejiang «grazie all’impegno delle comunità locali e di oltre 500 volontari».