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Cigola la carrucola del pozzo, di Eugenio Montale, recensione di Elvio Bombonato

Cigola la carrucola del pozzo
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…                                                                                                                                         Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.

“Ossi di seppia”, 1925

E’ il primo libro pubblicato da Montale. Il titolo, “Ossi di seppia”, – le 54 poesie, quasi tutte brevi – allude al linguaggio secco, scabro ed essenziale, arido, come il paesaggio descritto.  Montale trascorreva tutte le estati nella casa di famiglia a Monterosso; conobbe una ragazza romana, Annetta, di cui si innamorò ma, timido e introverso, non riuscì a dichiararsi.  Annetta diventerà il personaggio femminile delle sue poesie fino a metà degli anni ’30.

Il tema della lirica è l’impossibilità della memoria di trattenere i volti familiari, i quali, col trascorrere del tempo, diventano via via più sfumati. La situazione è reale.  Montale fa salire il secchio del pozzo, con l’acqua, nel quale vede l’immagine ridente di Annetta; accosta le labbra per bere e per baciarla (ambiguità semantica), e subito l’immagine svanisce, ritornando al nero fondo del pozzo. L’incanto è durato un istante, li divide la distanza sia fisica sia temporale, l’incapacità di comunicare. Nel conflitto tra Eros (la luce) e Thanatos (il buio), vince la seconda.