GIACOMO LEOPARDI, Le ricordanze, 1829, recensione di Elvio Bombonato
Né mi diceva il cor che l’età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
Per invidia non già, ché non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dei malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l’allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell’arida vita unico fiore.
GIACOMO LEOPARDI, Le ricordanze, 1829, 2° strofa
Leopardi ebbe un rapporto di amore/odio verso Recanati. Quello gioioso della “Quiete” e del “Sabato” è smentito dalla strofa del “natio borgo selvaggio”, de “Le ricordanze, scritta sempre nell’agosto/settembre del 1829.
L’età verde – la giovinezza – apre e ‘il caro tempo giovanil’ chiude la strofa.
22 versi endecasillabi piani, sciolti (non rimati). Dominano le parole di segno negativo: né, dannato, consumare, selvaggio, zotica, vile, odia, fugge, abbandonato, occulto, senza, aspro, malevoli, mi spoglio, sprezzatore, inutilmente, disumano, affanni. L’invettiva allude a una vera e propria guerra silenziosa tra Leopardi e i suoi concittadini (Gavazzeni)
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