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Le parole di Elena Rossi di ME.DEA onlus sulla violenza di genere

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Di seguito la mia intervista alla dottoressa Elena Rossi del centro anti-violenza me.dea onlus di Alessandria in merito all’attività di me.dea sul territorio.

Questo articolo e queste domande rivolte alla dottoressa Rossi rispondono alla necessità che si faccia chiarezza sul fenomeno “violenza sulle donne” che purtroppo talvolta si imbatte in risposte che denigrano ulteriormente la vittima.

Molti di voi affermeranno con superficialità  “ma è ovvio, carissime!”. A queste persone dico che l’ovvio va ribadito poichè il reiterarsi di atteggiamenti denigranti verso la vittima dimostra il contrario e forse anche l’assenza di solidarietà tra donne specie in certe zone dello stivale.

Alessandria, 01/06/2020

In questi anni di aiuto proteso alle donne da parte di ME.DEA come si è spiegata il fenomeno violenza sulle donne, quale o quali non dico cause ma fattori la provocano? E aggiungo la vittima è sempre priva di colpa o forse per meglio dire la colpa potrebbe essere l’incapacità di una strategia atta alla difesa personale e non mi riferisco al karate? O trattasi semplicemente di totale assenza tra donne di solidarietà?

La violenza sulle donne affonda le sue radici in una cultura maschilista che da sempre caratterizza la nostra società, ad ogni latitudine. E’ innegabile che la convinzione della supremazia del genere maschile, per motivi fisici, storici, culturali che meriterebbero trattazione a parte, abbia sbilanciato il rapporto fra i sessi, normalizzando il pensiero dell’inferiorità della donna. Ella, dunque diventa oggetto della prevaricazione maschile, rendendo socialmente accettabili comportamenti via via sempre più penalizzanti per lei: dal diffondersi dell’immagine della donna come angelo del focolare quindi privata della dimensione sociale e di un’indipendenza economica, fino alla donna in carriera che guadagna, però, meno dei colleghi maschi, arrivando alla oggettivazione della donna e alla sua trasformazione in qualcosa da possedere e maltrattare a proprio piacimento.

           

Nella dinamiche della relazione violenta è proprio quest’ultimo aspetto a emergere. La donna, giorno dopo giorno, viene minata nella sua autostima dall’ uomo che dice di amarla, è svilita con violenze psicologiche e fisiche, isolata. Quando prova a reagire, spesso, la violenza dell’uomo si acuisce perché lui sente di non avere più il controllo su di lei. Non è un caso che la maggior parte dei femminicidi si verifica quando la donna decide di lasciare il compagno violento.

Perché le donne non lasciano questi uomini? è la domanda che molti si fanno e che porta con sé gli stereotipi più gravi sulla violenza di genere.

Alle donne non piace essere violentate psicologicamente, maltrattate, costrette ad avere rapporti sessuali come e quando piace a lui. Chi è vittima di violenza domestica non è autolesionista; sono donne profondamente fragili, rese tali dal perdurare di anni di violenza, ma che hanno creduto in quella relazione, magari si sono sposate con quell’ uomo, hanno generato dei figli, e forse ancora sperano di poter salvare la loro famiglia.

         

Molte volte sono donne spaventate dalle conseguenze di una separazione, minacciate. 

Se mi lasci ti ammazzo”, “se mi lasci ti porto via i bambini sono le minacce più frequenti, a cui le donne credono, perché pensano che lui ne sarebbe capace e perché spesso non hanno un lavoro, né un contro in banca e si chiedono quale futuro saprebbero garantire ai loro figli.        

La paura le paralizza e rende sopportabile una quotidianità di violenze, finchè trovano la forza di interrompere questa catena e chiedere aiuto.

E’ sbagliato pensare che le donne abbiano delle colpe. Cedere a questo pensiero significa negare la responsabilità della violenza, che appartiene sempre a chi la commette.

Indagare su come era vestita una vittima di violenza sessuale o ad esempio quanti figli una donna ha generato con l’uomo che l’ha maltrattata per una vita, sottopone le vittime a giudizi morali e sociali che ridimensionano la gravità della violenza commessa da parte dell’uomo e imputano alle donne parte della responsabilità (Se l’è cercata). Le donne sono oggetto in questi casi di vittimizzazione secondaria, fenomeno molto diffuso sui media e nella aule di tribunale e che contribuisce ad alimentare quella pericolosa cultura maschilista, da cui deriva la violenza stessa.

Ringrazio la dottoressa Rossi e ME.DEA onlus.

Pubblicato da Antonella Amato