Donna di Lashkevich

LA REGINA APPARVE E SPARÌ, di Leonardo Migliore
(Struggersi d’amore fra le rime del tempo)

di Leonardo Migliore

Come dimenticare quell’ovale perfetto del suo viso,

un volto elegante e, allo stesso tempo, intrigante.

Gli zigomi alti, pronunciati e tesi conferivano grazia alla sua seducente geometria.

L’inimitabile bellezza dell’angolo naso-labiale.

Le sue labbra carnose e il suo naso con la punta all’insù.

In suoi occhi, le sue folte ciglia e le sopracciglia modellate ad arco e assottigliate.

Le onde dei suoi capelli.

Il suo corpo armonicamente morbido e flessuoso.

E mancano ancora i colori.

I suoi capelli ramati con tonalità rosso mogano,

la sua carnagione chiara,

il trucco luminoso e omogeneo su toni rosati sfumato con oro,

fra le loro pieghe i suoi occhi azzurri da cerbiatta nascondevano un ombretto caldo appena definito color oro arancio,

le labbra rigorosamente con tinte nude o leggermente rosate,

unica eccezione il rossetto rosso.

Colpevolmente, non mi sono mai chiesto che aromi ed essenze usasse.

Non sono sincero, ero a conoscenza di tutto.

Per i bagni profumati usava un’essenza a base di rose e gerani che lei stessa si dilettava a diluire.

Alternava diversi profumi.

Amava profumi con fragranze di gelsomini e rose.

A volte prediligeva un profumo esclusivamente con note di gelsomino.

In altri momenti la sua pelle emanava un profumo con fragranza di gelsomino, arancia, pesca e ambra.

C’erano anche giorni nei quali sovvertiva completamente i suoi gusti e sapeva di fragranza di bergamotto, iris, narciso e sandalo.

E ora mancano i capi delle maison più rinomate a scandire la primavera dei sentimenti.

Ricordo un abito chemisier nero con fantasie floreali che riproducevano i colori dell’iride.

Era una mise romantica che accompagnava con sandali e pochette.

Un giorno indossò un tailleur con gonna a bocciolo.

Mi disse di mirarla sullo sfondo del cielo.

E guardando il cielo, i suoi indumenti diventarono nuvole leggere e colorate.

La sua gonna galleggiò nella brezza estiva.

In un’altra occasione la trovai con un lungo vestito cosparso di ruches fucsia.

L’indomani con un abito con maniche a mantella e schiena scoperta.

Poi abiti da cocktail a fantasia floreale con orlo asimmetrico o lunghi in chiffon e manica corta.
E ancora uno splendido abito lungo in tulle color crema ricoperto di minuziosi ricami.

La linea morbida del vestito era caratterizzata da un disegno che prevedeva maniche a scollo semitrasparente.
Lo portava sempre con sandali e pochette.

Ed eccola riapparire con un vero capolavoro romantico:

un miniabito rosa cipria con decorazioni di piume che ne impreziosivano le maniche in ali pronte al volo estatico.

Il capo era aderente in vita, rifinito con un orlo smerlato e realizzato da un virtuoso sarto per intero in un incantesimo amoroso di pizzo floreale.

Mi sorprese con un’eccentrica esibizione quando bussò alle mie spalle e vidi la sua mente libera da vincoli penetrare in un abito senza fodera.

Esaltava le sue naturali fattezze e il suo portamento altero.

Era quasi nuda ed estremamente bella e sensuale.

Le maniche erano lunghe, presentava una profonda scollatura e sul retro la schiena scoperta.

In aggiunta spalline imbottite, frange sul polso e sui polsini, decorazioni in posizioni variabili e borchie.
Per un attimo ebbi uno strano presagio: l’accostai a una valchìria al servizio del dio Odino.

Dal Walhalla raggiunsi le alte sfere celesti quando si presentò vestita d’azzurro intenso dentro un abito con scollo profondo, con chiusura del retro con gancino e zip a scomparsa, tagliato in vita, con decorazioni in posizioni variabili, con ricami con paillettes e perline e con pannelli inferiori a più strati in tulle.

Il suo estro non finiva di stupirmi. 

Eccola mostrarsi con un vestito foderato con colorazione dégradé su tutta la sua superficie, a girocollo, maniche corte, cutout frontale sul pannello superiore e tagliato in vita.

La mattina appresso mi raggiunse con un abito completamente foderato di un vivace colore borgogna.
Aveva addirittura il reggiseno incorporato e l’unica concessione che lasciava agli sguardi indiscreti erano le spalle scoperte.

Era abbellito con perline, lustrini e fiocchi.

Per l’occasione, aveva completato l’abbigliamento aggiungendo scarpe a stiletto e scegliendo con cura la pochette più adatta.

Mancava ancora un colore che le era familiare: l’oro.

Preferiva l’oro bianco, ma indossò un abito color oro giallo.

Il vestito era lungo, senza maniche e non completamente foderato.

Recava una scollatura su una spalla ed era guarnito con perline, lustrini e increspature a cascata.

A complemento, portava la scarpa per eccellenza, la décolleté con tacco stiletto, un cappello da sole in cotone color ocra ricamato con finiture e motivi floreali bianchi, una pochette raffinata di raso con cuciture in oro giallo.

Amava usare monili che ne esaltavano la vezzosità in sintonia con il suo vasto guardaroba.

Intanto una parure costituita da un anello e un collier.

Un anello di oro bianco, con diamanti con forma tonda, smeraldi e onice.

Un collier di oro bianco con trama a doppia catena, con diamanti con forma tonda, smeraldi e onice.

Bracciali di oro rosa e diamanti.

Posati sui lobi, orecchini somiglianti a gioie d’orchidee di oro bianco adornati con un disegno di diamanti con forma tonda, a goccia e a rosa.

Un pettine d’oro bianco annodava, come l’intreccio di un romanzo, due fiocchi di capelli.

Il prezioso metallo era finemente forgiato a fiori e in esso erano incastonati petali di diamanti con forma trillion, rubini rossi e rosa e un’esplosione di zaffiri di fantasia naturale, dal tipico blu al giallo, al viola, all’arancione e al verde.

E infine una molletta d’oro bianco a forma di Luna costellata di diamanti con taglio a smeraldo e zaffiri blu ancorava un dolce e rasserenato tornante di capelli in una coda di media lunghezza.

I suoi fiori preferiti erano le orchidee del genere Miltonia.

Ho parlato dell’animo di una regina estimatrice, come Cleopatra d’Egitto, della bellezza e dell’opulenza.
Inoltre il suo sentire era estremamente romantico.

– STRUGGERSI D’AMORE FRA LE RIME DEL TEMPO –

Non ti conosco ancora e non so se esisti veramente.

La tua forza incantatrice confonde come la magia del tramonto.
Una volta il mio tatto sprofondava nei tuoi capelli,
l’oscurità complice li fondeva con i miei.
I miei occhi si specchiavano nel tuo sguardo
ed erano i tuoi,
le nostre mani strette diventavano un tutt’uno
e la mia vita era nella tua forma.
Con una lanterna
percorresti le latebre ombrose del mio cuore
per scagliare una saetta contro la cupola del mio cielo.
Abbeverandomi al fiume Lete,
il microcosmo che brulicava nella mia mente

in cenere si disperse
e la tua folgore requie mi concesse.
Mi riscossi, così, dal sonno.
In un giro di valzer
iniziai a volteggiare libero nel bacio del sole.
La vita sgorgante spiegò al vento le vele,
la luce penetrò le cesoie ottenebrate.
E l’amore fioriva,
sospiravo per qualcuna,
la mia solitudine svaniva in un sorriso d’incredulità.

Il mio cielo adesso ti appartiene,
puoi finalmente riposare.
Anch’io m’addormento nel tuo stesso sogno.
Un intrico di strade si apre a ventaglio,
non sono più certo da quale porta accedere.
Provo a sentire i battiti del tuo cuore,
ciò che ci è appartenuto,
il tuo che è diventato mio,
interrogo il nostro sentimento condiviso.
Rammento il tuo viso dai gentili lineamenti,
i tuoi colori che mi hanno ridato la vista,
i tuoi abiti originali stesi su un arcobaleno sorretto da pilatri di nuvole,
la tua acconciatura ornata d’oro e pietre preziose,
inseguo il punto luce che identifica i tuoi gioielli
e incanta senza tempo il tuo “allure” romantico e dolce.
Intraprendo il sentiero che conduce alle stelle
che ti sono amiche e sorelle.
Lì ti ritrovo, al chiarore del plenilùnio
a rilucere nel cuore della notte.
Se nel dì ci governa la primavera con l’aprico raggio di Febo,
l’aureo astro a me fraterno le nostri notti culla nella tela di un’amàca,
nido d’amore sospeso per le estremità a due asterismi.
Il nuovo giorno leva la sua voce,
un ruscello scorre impetuoso
frangendo con l’alba di rame dei tuoi capelli
l’oscurità delle mie palpebre,
i tuoi occhi.
Con i sensi affaticati, presto t’assopisci.
In estasi guardo la soavità del tuo volto,
ammiro questo ardente desiderio che chiamiamo amore
imprimersi nell’anima e risplendere per l’eternità,
nel trascendere il dì e la notte.

Forse ho solo viaggiato tra le sponde di un’amara fantasia.
Mi ritrovo nella stanza dei miei sogni di ragazzo,
dove, svolgendo i compiti, coltivavo la mia smania di successo.
Nei riflessi del vetro laccato bianco di una libreria stile impero, 
nella scarsa intensità dell’illuminazione elettrica dell’ambiente,
scopro il buio nel vuoto angosciante del silenzio.
In un grido trattenuto per tanti anni
erompe una furiosa collera.
Una statuetta di donna realizzata con conchiglie e vongole
mi rivolge un’occhiata torva
e, come una quercia,
addentra profondamente
le sue radici nel terreno friabile della delusione.    
Sembra invocare i Penati.
Mi ricorda che è stata nel mio palmo ancor prima che la mano mia
carezzasse, fremente d’impazienza, il corpo di una donna.
All’amore di una statua somiglia il mio cuore pietrificato.
Una reificazione alienante di sguardi, sospiri, desideri, sogni.
Cado in deliquio.
Al risveglio, la mente mia s’obnubila.
In tutti i modi cerco di seppellire la sostanza di un amore perduto.
Il vero amore lascia una traccia indelebile
registrata su un vecchio disco in vinile.
La testina fonografica di un giradischi in funzione
troverà le sue parole come fossili nel solco del tempo.

_ Dipinto di Alex Lashkevich, pittore neo-impressionista russo.