Intervista all’archeologo alessandrino Ferdinando Caputi

Alessandria today: Oggi parliamo con Ferdinando Caputi nella sua veste ufficiale quella di archeologo e  facciamo il punto sulla situazione archeologica  in Italia con riferimenti alla nostra città ed alla nostra provincia.

Nel rapporto tra archeologia ed istituzioni locali  che ruolo hanno le tracce del passato?

Penso che abbiano una doppia faccia. Da un lato le rovine sono testimonianza di un passato che non c’è più. Ma nello stesso tempo costituiscono un incitamento a conservarle , a non perdere la memoria del passato . Certo non è sempre stato così. Questo atteggiamento abbiamo cominciato a svilupparlo sostanzialmente a partire dal Medioevo quando si notava questa duplicità: c’era la testimonianza di un mondo ormai passato quello pagano, contrapposto a quello Cristiano, ma al tempo stesso si vedeva la forza della storia e della memoria. 

Capita di sovente che i resti antichi siano sentiti, soprattutto quando si ha a che fare con l’archeologia urbana, come impedimento per lo sviluppo edilizio. Tu avverti questo conflitto tra archeologia e società?

La diatriba c’è, io cerco sempre di guardare il mio campo quello archeologico, dall’esterno. Italo Calvino , tra i suoi meravigliosi libri ha scritto Le città invisibili dove parla ad esempio delle città dei vivi (quelle in cui viviamo) contrapposte alle città dei morti  (quelle del passato). Ecco, io credo che ci siano stati degli errori da entrambe le parti, ovvero che ci voglia inevitabilmente un equilibrio. A volte le soprintendenze hanno portato all’esasperazione alcune situazioni, altre volte i cittadini e le amministrazioni locali hanno agito al di fuori della legalità…sono situazioni di volta in volta diverse. A mio parere la città dei vivi debba essere funzionale e quindi che non sempre tutto ciò che si scava , che si trova debba essere mantenuto a meno che non si tratti di ritrovamenti eccezionali in questo caso lo scavo può essere una risorsa.

Ci sono esempi in cui questo equilibrio ha funzionato?

Porto un esempio, quello del ritrovamento della Villa dei mosaici di Spello, in Umbria recentissima scoperta, dove era in progetto la costruzione di un parcheggio, per questo utilissimo alla città. Ma all’atto della scoperta dei mosaici è stato subito deciso di staccarli e musealizzarli, dunque non sottraendo qualcosa alla città ma aggiungendo un importante tassello alla storia della città, con aumento del prestigio culturale e quindi del turismo: la cultura non si oppone al giusto guadagno. Per contro posso invece parlare di quello che è successo ad Alessandria in Piazza della Libertà quando scavarono le fondamenta della vecchia Cattedrale demolita da Napoleone per creare una piazza utile ai festeggiamenti della vittoria di Marengo. Dopo aver accuratamente descritto e catalogato tutte le parti architettoniche e le suppellettili lasciando una precisa testimonianza su come doveva essere il monumento lo fece demolire. Conoscendo il punto esatto non è stato difficile fare un saggio da parte degli organi competenti, riportando alla luce la pianta esatta attraverso i muri di fondazione e di supporto alle strutture in elevato. Vista quindi la situazione di lasciar perdere il progetto per la costruzione di un parcheggio sotterraneo si decise d coprire tutto di sabbia (come si usa fare in questi casi da noi addetti ai lavori- ndr) in attesa di future decisioni  in merito. Comunque si è recuperata tutta la parte scientifica permettendo però alla città di poter usufruire di un servizio molto utile.

C’è comunque una differenza fondamentale tra il nostro atteggiamento nei confronti dell’antichità  e quello del passato, quando era normale distruggere un monumento antico per costruirne uno nuovo. Oggi non si trasforma più nulla, tutto è cristallizzato. E la ragione da che parte sta? 

Si consideri che tutto ebbe inizio con la Cristianizzazione, per cui tutto ciò che era pagano viene automaticamente distrutto, oppure  trasformato come per esempio nel caso del Pantheon a Roma o del Duomo a Siracusa diventate chiese Cristiane. Oppure le città Romane con i loro monumenti come Libarna (materiale riutilizzato per costruire Serravalle Scrivia e Monte Spineto – ndr) o Derthona diventano cave da cui estrarre materiale per i nuovi edifici, o ancora si passa ad una sovrapposizione come a Borgo Rovereto ad Alessandria dove sotto la chiesa di Santa Maria di Castello abbiamo una frequentazione ed una sovrapposizione dall’età del Ferro, passando dall’epoca Romana, Paleocristiana e Romanica per arrivare al XV secolo con l’aspetto attuale. Però qui perlomeno  sono state lasciate le fondazioni delle costruzioni precedenti  escluso il Castellaro Ligure ricoperto di cemento.

Restaurare e conservare o ricostruire è un problema antico. Ho letto che per esempio, che quando andate a scavare nei paesi Nordafricani siete molto portati  alla ricostruzione con i pezzi originali crollati. Ma qui in Italia siete fermamente convinti che non si debba ricostruire niente perché le rovine hanno una loro forza filologica…

Corrisponde a verità, ma c’è da dire che noi archeologi all’estero dobbiamo un po’ pensare secondo la mentalità del paese dove ci troviamo, in Egitto, in Libia, in Turchia, ma anche in Grecia, tanto per fare qualche esempio, le autorità locali chiedono la ricostruzione dei monumenti…in alcuni casi si procede in maniera decisa aggiungendo i pezzi mancanti fatti rifare su misura, per avere più turismo. Vi porto l’esempio di Libarna (nella nostra provincia) una città Romana, con tanto di cardini e decumani (interessante il tratto basolato della via Postumia N-S e del Decumano Massimo E-W) a tutti gli effetti tagliata in due dai lavori per le linee ferroviarie Ge-Mi e Ge-To con alla luce quattro dei quaranta quartieri originari, l’Anfiteatro era un mucchio di terra ma siccome era stato costruito scavando il terreno, e con la terra di riporto creata la cavea (dove prendevano posto gli spettatori), trovati i resti dei muri di sostegno (che ne delineavano l’ellisse) fu facile per la compianta Silvana Finocchi ricostruirlo per come doveva essere in origine, grazie anche a quello che era rimasto in pietra e mattoni. Del Teatro (opera in elevato) invece è stato necessari ricostruire i muri in parte crollati fortunatamente con il materiale originale. Per le case di abitazione e le botteghe rimangono le fondamenta ed i mosaici pavimentali. Un esempio ancora più grande Roma epoca Fascista, per Via dei Fori Imperiali fu raso al suolo un intero quartiere medievale e rinascimentale, e fu fatta la più grande opera di anastilosidel secolo scorso. Ma ormai tutto è storicizzato quindi va mantenuto così com’è. Ritirare su tutto non si può specialmente quando non ci sono materiali originali sufficienti. Concludo con il Partenone  che è una specie di rovina artificiale , ricostruita con marmi nuovi, comprendo la necessità di incrementare il turismo ma così è un falso! Molto meglio le nostre Paestum, Agrigento, Selinunte e Metaponto.

Un altro luogo sacro dell’archeologia sono i musei. Come dovrebbero essere?

Il problema dei Musei archeologici e non in Italia e nella nostra provincia (Alessandria, Acqui Terme, Libarna, Villa del Foro esempio),  è che non sono narrativi, non raccontano storie. Espongono oggetti meravigliosi di fronte ai quali però il visitatore  non esperto rimane attonito e distaccato. L’errore è credere che gli oggetti antichi, siano facili da decifrare e capire, come se parlassero da soli. Sovente poi in questi musei non c’è traccia di cultura materiale, come se gli antichi avessero prodotto solo statue e vasi. Purtroppo anche i grandi Musei in primis quelli di Roma sono carenti da questo punto di vista , hanno si delle collezioni magnifiche, ma non parlano, non dicono. Parlo dei ritratti, dei busti, fantastici provenienti sia dal mondo Greco che da quello Romano, che sono messi uno dietro l’altro non seguendo una precisa collocazione temporale e senza alcun tipo di indicazione sulla società in cui furono eseguiti, senza informazioni sul mondo a cui appartennero. Raccontare storie per i musei , com’è successo al Museo Egizio di Torino, o al Marta di Taranto ed a Bolzano per esempio , sarebbe una missione bellissima, come riportare il tesoro di Marengo ad Alessandria, anche se ora ha un angolo tutto suo con tutte le carte in regola per far capire a chi lo vede che cosa sta guardando, nel Museo Archeologico di Torino. Voglio ricordare un esempio di giusta musealizzazione, il nostro fiore all’occhiello, il C’era una Volta alla Gambarina qui ad Alessandria.

Colpa dei finanziamenti o di un certo modo di pensare? Soprattutto cosa fanno gli enti locali nella nostra città e nella nostra provincia?

Non c’è la mentalità giusta, mancano scuole di formazione (ecco perché molti musei in Italia sono diretti da stranieri). Da noi i musei nascono verso la fine del Settecento, spesso come risultati di scavi fortuiti, donazioni di privati, confische ai Tombaroli, a collezionisti senza scrupoli, alle chiese, oppure ruberie degli stessi incaricati dal governo Italiano nei paesi più poveri  (Egitto per primo) ecc. ecc.

Si tratta di reperti  che inseriti in un museo perdono il loro scopo iniziale. Si pensi ai quadri, ai crocifissi alle pale d’altere,  che erano nelle chiese, oggetto di preghiere da parte dei fedeli che dentro una sala di una Pinacoteca perdono tutta la loro sacralità. Non dimentichiamo che il nome Greco “Mouseion” significa luogo sacro alle Muse e queste ultime erano fonte di ispirazione per pittori, scultori, ceramisti e ceramografi,  quindi dobbiamo ricreare situazioni all’interno delle nostre realtà museali locali la possibilità che il fruitore venga ispirato da un oggetto e tramite lui rivivere nel periodo in cui fu fabbricato, o scolpito o dipinto. La nostra biblioteca con la pinacoteca ed il museo è rimasta indietro di un paio di secoli ed anche gli addetti ai lavori all’interno non hanno esperienza nei vari settori dell’arte, non certo per colpa loro. Quindi investire di più, da parte degli enti locali, nella cultura che è fatta anche di moda, rappresentazioni storiche, mostre di pittura e fotografie di arte moderna o antica che sia (tutto è in mano a volenterose associazioni culturali, che non penso percepiscano grossi contributi, a meno che non siano collegati ad entità Nazionali od Internazionali o ad una forza politica piuttosto che ad un’altra). Ben vengano le sagre dove l’enogastronomia ed il ballo liscio la fanno da padroni, fanno parte della cultura popolare, ma non dimentichiamoci mai che l’Itali ha il 70% del patrimonio artistico ed archeologico mondiale, quindi …sfruttiamolo.

Ferdinando Caputi