Recensione a cura di Elvio Bombonato

UNA STORIA SBAGLIATA
È una storia da dimenticare
È una storia da non raccontare
È una storia un po’ complicata
È una storia sbagliata.

Cominciò con la luna sul posto
E finì con un fiume di inchiostro
È una storia un poco scontata
È una storia sbagliata.
Storia diversa per gente normale
Storia comune per gente speciale
Cos’altro vi serve da queste vite?
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
È una storia di periferia
È una storia da una botta e via
È una storia sconclusionata
Una storia sbagliata.

Una spiaggia ai piedi del letto
Stazione Termini ai piedi del cuore
Una notte un po’ concitata
Una notte sbagliata.
Notte diversa per gente normale
Notte comune per gente speciale
Cos’altro ti serve da queste vite?
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
È una storia vestita di nero
È una storia da basso impero
È una storia mica male insabbiata
È una storia sbagliata.

È una storia da carabinieri
È una storia per parrucchieri
È una storia un po’ sputtanata
O è una storia sbagliata
Storia diversa per gente normale
Storia comune per gente speciale
Cos’altro ti serve da queste vite?
Ora che il cielo al centro le ha colpite
Ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
Per il segno che ci è rimasto
Non ripeterci quanto ti spiace
Non ci chiedere più com’è andata
Tanto lo sai che è una storia sbagliata
Tanto lo sai che è una storia sbagliata.

FABRIZIO DE ANDRE’, 1980; musica di Massimo Bubola

Fu scritta per ricordare Pier Paolo Pasolini e la sua morte assurda, a soli 53 anni. Fabrizio denuncia (“non chiedere più come è andata”, perché la verità non si saprà mai) l’insufficienza delle indagini, i depistaggi, fino al ‘mica male insabbiata’. Interessanti le fotografie – commoventi quelle con la madre – che percorrono il video, per documentarne la vita. Il titolo, con il verso che martella l’intera canzone, ripetuto 19 volte, è polisemico. Evidente l’allusione implicita: una vita sbagliata (“il clima di ignoranza e di caccia al diverso”, Fabrizio) che porta alla morte sbagliata. Sono 10 strofe, 7 di 4 versi, e 3 di 5 versi, la stessa ripetute 3 volte. Fabrizio si cimenta col difficile decasillabo, intervallato dall’endecasillabo; le 7 quartine sono chiuse dal settenario. Complessa è la metrica, di cui Fabrizio è maestro. Rime nei luoghi cruciali, iterate: ‘dimenticare/raccontare’ ossimoro; ‘colpite/scolpite derivativa; ‘sbagliata’, sempre marcata dalla rima con gli altri participi passati: ‘complicata scontata sconclusionata concitata insabbiata sputtanata andata’, un climax a 6 voci che ripercorre la vita del poeta, in modo sinteticamente icastico. Come al solito, De André descrive per scorci l’esistenza di Pasolini, con immagini-simbolo, surreali, ma non giudica: ‘la luna sul posto’, in Friuli; ‘fiume d’inchiostro’ dei giornali; ‘storia da botta e via’ la sua irrequietudine: poeta, romanziere, critico letterario, regista, giornalista, cultore di arte e di musica ecc.; ‘una spiaggia’ a Ostia ove fu ucciso; ‘stazione Termini’ dove catturò il giovane presunto assassino; il gossip. L’ultima quartina si rivolge al lettore con il tu.

Conobbi Pasolini a Roma nel 1970. Parlammo del suo capolavoro “Mamma Roma”, impersonata dalla Magnani, superba. Lo rividi altre volte, accompagnato dal fido Ninetto Davoli, anche a Soriano del Cimino, ove villeggiava la mamma. Gentile, e disposto ad ascoltare un ragazzo qual io ero. Un educatore, fu il giudizio di Gianfranco Contini, massimo filologo del ‘900, cattolico, che recensì subito le sue poesie giovanili in dialetto friulano.