Per l’idrossiclorochina storia senza fine

Nuovi studi ne confermano l’efficacia se usata in stadio precoce. E adesso i 140 medici che avevano fatto istanza all’Aifa contro la sospensione dell’utilizzo (che non è stata concessa) decidono di ricorrere al Tar

di GIUSEPPE DEL BELLO

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Non c’è pace per l’idrossiclorochina (e per i pazienti coronavirus positivi). Dopo una serie di stop and go, il farmaco da decenni utilizzato nelle patologie reumatiche e, secondo i dati provenienti dal territorio (la medicina di base domiciliare), efficace anche a contrastare Covid-19, è di nuovo al centro dell’attenzione. Stavolta per due ragioni. Prima di tutto perché arriva l’ennesima ricerca (condotta dall’Henry Ford Health System e pubblicata sull’International Journal of Infectious Diseases) a scompigliare le carte, accreditando la tesi sostenuta da mesi dai medici impegnati sul campo. E cioè che il Plaquenil (nome commerciale dell’idrossiclorochina) può essere molto utile, purché assunto all’esordio della malattia. Che vuol dire a casa del paziente  e prima che questi venga ricoverato o in  terapia intensiva, quando la compromissione delle vie respiratorie è già troppo avanzata. La ricerca rivela infatti che solo il 13 per cento dei pazienti curati con la sola idrossiclorochina è morto contro il 26 dei non trattati con lo stesso farmaco. In più, il gruppo curato con l’idrossiclorochina non ha registrato alcuna grave complicazione cardiaca. Ma a tenere in allerta le istituzioni è il ricorso al Tar contro l’Aifa già minacciato un mese fa dal comitato di 140 medici insorti con un’istanza a difesa della prescrivibilità del farmaco.

Una storia senza fine

L’idrossiclorochina, come aveva precisato a Repubblica il direttore di Malattie infettive dell’ospedale universitario Maggiore della Carità di Novara, Pietro Luigi Garavelli, si è rivelata efficace, in particolare se somministrata ai primi sintomi di Sars Cov-2: “febbre accompagnata da tonsillite e/o tosse secca e/o dispnea e, talvolta, da diarrea”. Lo specialista, che aveva anche ricordato la mortalità più bassa registrata nell’Alessandrino proprio per l’impiego del farmaco, si è sgolato a insistere sulla necessità di un trattamento precoce: “Se assunto nelle fasi più avanzate dell’infezione, quindi dai pazienti ricoverati, non ha la stessa efficacia”.

L’Aifa, ovviamente coinvolta nella querelle, dà il via libera il 17 marzo anche alla somministrazione territoriale ospedaliera. L’iter subito intrapreso, viene però poi bruscamente interrotto il 25 maggio dall’Oms che decreta lo stop alle sperimentazioni avviate.

Il dietrofront

Perché un dietrofront così repentino? Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità avevano ritenuti attendibili (errore clamoroso censurato da più parti) i risultati pubblicati da The Lancet in un articolo in cui gli autori (prima firma l’indiano Mandeep Mehra) sostenevano la pericolosità del farmaco, a livello cardiaco, registrata in ambito ospedaliero. E l’Aifa che fa? A sua volta, sempre sulla scorta della prestigiosa rivista, limita la somministrazione ai pazienti arruolati nei soli studi già in corso, ma ne vieta la prescrivibilità addirittura in terapia domiciliare: se il medico lo prescrive lo fa a proprio rischio e pericolo.

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La retromarcia

I primi a rimangiarsi la tesi negazionista sono gli autori dell’articolo che, a seguito di un audit di Lancet (su sollecitazione di vari scienziati), ritirano lo studio (e la firma). Passano meno di due giorni e anche l’Oms fa retromarcia, mentre a non mollare è l’Aifa che, nonostante l’istanza dei 140 medici, furiosi e ben determinati nella richiesta di annullamento della sospensione, persevera nel divieto all’utilizzo dell’idrossiclorochina. Un pugno di ferro continuo in barba alla perentoria asserzione dei camici bianchi: “alla luce dell’assenza di valide alternative terapeutiche, contestiamo la decisione adottata superficialmente e in contrasto con le preliminari evidenze scientifiche, tra cui i rilevanti dati  provenienti  dal  territorio”. E siamo all’oggi con l’ultimo articolo di Lancet che testimonia la validità del protocollo precoce. Poi, a rendere il quadro più complicato arriva l’annuncio dato in queste ore dall’avvocato Erich Grimaldi delegato insieme alla collega Valentina Piraino dal Comitato dei medici. Ma sentiamo le sue parole: “Il 3 giugno diffidammo l’Aifa, che dopo un mese, cioè l’altroieri, ci rispose di non avere alcuna intenzione di revocare la sospensione all’utilizzo di idrossiclorochina al di fuori degli studi clinici”. Non solo, sempre l’Aifa, a cui avevamo chiesto gli atti a sostegno del provvedimento adottato, ha confermato che non esiste una relazione del Comitato etico e di essersi basata solo sulla scorta dell’articolo di Lancet ritirato. Adesso, in questa situazione, siamo costretti a depositare un’istanza cautelare al Tar. Nel frattempo, abbiamo acquisito, in attesa della pubblicazione dei risultati, le relazioni dei medici del territorio di Alessandria, Piacenza, Milano e Treviso, che hanno utilizzato, con ottimi risultati, l’idrossiclorochina”.