Scheletri nell’armadio, di Nicola Rocca 

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Nel frattempo, ecco un breve estratto del prologo:

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L’assassino si guarda allo specchio.

Sorride, è soddisfatto.

I mass media del Paese parlano di lui. 

Le forze dell’ordine gli danno la caccia.

Non lo prenderanno mai.

Lui è più scaltro, veloce e intelligente di loro.

È teso. E allo stesso tempo eccitato. 

Oggi è un giorno di quelli.

Eppure…

Ogni volta, viene assalito da un senso di irrequietezza.

Togliere la vita a qualcuno è un gesto al quale non ci si abitua mai.

Quel pensiero gli procura un dolcissimo brivido.

L’attesa del momento gli fa provare un’inspiegabile ma piacevole angoscia.

La tensione sarà ripagata dal senso di onnipotenza che prova quando sente le vittime implorarlo per una morte senza sofferenza.

Geme, nell’attesa di sentire le suppliche, le parole d’amore che le donne gli scagliano addosso, pur di veder cessare quel tormento che lui infligge.

Guarda la propria mano, ricordando la lama del coltello che affonda in quei corpi.

Il sangue che sgorga a fiotti è un orgasmo. Già gli sembra di sentirlo.

Sorride ancora. 

Acqua fredda sul viso, per riscuotersi dai pensieri e alleviare la tensione.

Un’occhiata all’orologio.

È ora di andare.

Si sposta in soggiorno, indossa l’impermeabile. Apre il cassetto e recupera i guanti. Con quelli non lascerà tracce.

Si avvicina alla Notte Stellata. Non è l’originale, ma un’ottima imitazione.

Fissa quelle pennellate su tela. Da bambino sognava di diventare un pittore.

Una smorfia. Il talento non è mai stato dalla sua parte.

Scaccia i ricordi. 

Sposta il quadro e digita la combinazione.

Lo sportello della cassaforte si apre in un tlak.

Allunga la mano all’interno del vano ed estrae il grosso coltello.

Resta qualche secondo ad ammirare la lucentezza della lama, mentre un brivido voluttuoso lo sopraffà.

Poi, fa sparire l’arma sotto l’impermeabile.

Lascia l’appartamento e si avvia a piedi, incurante della pioggia sottile che gli bagna il capo.

Cammina a passo svelto, lo sguardo sull’asfalto e le mani in tasca, fino a raggiungere la piazzola.

Quando vede un taxi in avvicinamento, alza una mano e quello accosta al ciglio della strada. L’assassino apre lo sportello, si accomoda sul sedile posteriore e comunica la propria destinazione.

Il taxista avvia il motore e si immette sulla corsia.

Silenzio, per tutto il tragitto.

Giunti a destinazione, l’assassino paga la propria corsa e scende dall’auto.

Aspetta che il taxi si allontani. 

Si guarda attorno. La strada è sgombra.

Si avvicina al palazzo. Con un piccolo grimaldello apre la serratura del portone.

Sale le scale e si ferma al primo piano.

La vittima abita dietro quella porta.

Respira profondamente e allunga la mano verso la sua meta.

La porta è già aperta.

Tanto meglio, si dice.

Un’occhiata alle scale, poi si infila nell’appartamento.

Qualcosa non va. L’atmosfera è differente dalle altre volte.

La mano sparisce sotto l’impermeabile e ritorna armata di coltello.

L’assassino cammina a piccoli passi verso l’unica stanza con la luce accesa.

Il pugno, serrato a forza sul manico, apre del tutto la porta socchiusa.

L’uomo resta sulla soglia, impietrito.

La sua vittima è stesa a terra in una pozza di sangue. Gli occhi senza vita sembrano farsi beffe di lui.

Qualcuno lo ha anticipato.

Si guarda attorno, inebetito.

C’è una scritta sullo specchio dietro il corpo. 

È un messaggio. È scritto col sangue.

Quelle parole sono per lui.

Si volta di scatto, mentre uno spiacevole brivido gli solletica la pelle. Nessuno.

Si gira di nuovo verso il corpo steso a terra. E infine alza gli occhi sulla scritta.

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