Se non c’è comunità non vive la democrazia, di Carlo Baviera

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Alessandria: “Il voto alla destra ha un presupposto essenziale: la rottura dei rapporti di Comunità. Il vero bipolarismo del nostro tempo non è tra destra e sinistra novecentesche (anche se la storia non è acqua fresca….) ma tra <personalismo comunitario> e <individualismo populista>” (Dellai). Questo lo si scriveva prima dello scoppio della pandemia, ma vale anche e soprattutto dopo.

E’ una tesi interessante. Del resto notiamo che la lievitazione del consenso alle destre, in tutta Europa, è frutto di maggior individualismo e crisi dei corpi intermedi. E’ noto inoltre che il vero popolarismo si è formato e affermato a partire dalle autonomie.

Conseguentemente, è solo ripartendo dalle autonomie e da un sistema <comunitario> che può riprendere vita la democrazia partecipativa, coinvolgente, e della responsabilità, che è stata da tempo soppiantata da mercantilismo e consumismo, da interessi finanziari e da egoismi individualistici.

Anche un gruppo di “Popolari” che appartengono al PD hanno ritenuto opportuno riprendere quella tradizione e ripartire da quelle indicazioni. Nel mese di gennaio (anche come conclusione dell’anno dedicato ai Liberi e Forti) si sono ritrovati a  Torino per parlare proprio di Riformismo Comunitario e rilanciare questo messaggio a tutta la politica, indicando un percorso che non solo intende guardare alla storia di ieri, ma da quella tracciare il cammino per un futuro meno incerto dell’attuale.

Lo so, è passato molto tempo; e anche la politica è ormai incamminata in un periodo nuovo, dopo gli eventi del virus. Ciò non toglie che l’evento di Torino, sia stata una occasione per rimettere “attorno allo stesso tavolo” popolari di appartenenze diverse, almeno così si è potuto vedere in sala; e presenti, insieme ad esponenti cattolici democratici (vecchi e nuovi) anche alcuni di provenienza <diessina> o addirittura con trascorsi nel centro-destra.

A Torino si è voluto rilanciare una visione di società e una proposta politica che devono inevitabilmente partire dal personalismo comunitario e dai carpi intermedi, oggi troppo accantonati, e su cui imbastire una rinascita del sistema che sia compatibile e sostenibile con la possibilità di avere un futuro sia dal punto di vista ambientale che sociale che economico che di umanesimo e di libertà.

I punti fondanti di un riformismo comunitario indicati dai relatori sono stati: una maggior tutela della famiglia, per favorire la natalità con opportuni strumenti fiscali; un’autentica valorizzazione del lavoro, attraverso forme partecipative e di cogestione; la promozione di un’economia civile, non solo improntata al mero profitto, nel segno di uno sviluppo sostenibile.

Lasciando per un attimo da parte il tema generale si deve affermare che la questione <Comunità> la si percepisce di più nelle cosiddette periferie, nelle piccole comunità, nei borghi, nelle campagne, in collina; là dove c’è meno concentrazione, ci si conosce di più, e ci si sente più soli e isolati quando scarseggiano servizi e “attenzioni” pubbliche. Lo si è avvertito anche nelle settimane di “confinamento”.

C’è da riflettere. Perché è lì che il populismo e lo spirito conservatore ha vinto elettoralmente ed emerge l’opposizione a novità e riforme: presentate sempre (o quasi, almeno negli ultimi lustri) come sacrifici, tagli, riorganizzazioni, ecc. Ed è lì che diventa difesa quasi maniacale dell’identità culturale.

Perciò diventa essenziale puntare anche, come è stato detto, al contrasto del centralismo (fosse pure un centralismo regionale o, in un domani, di Bruxelles riguardo alle nazioni che costituiscono l’Unione Europea). Attenti alle sirene centraliste, ora che lacune si sono evidenziate da parte delle Regioni e di quello che è stato percepito come un sistema sanitario troppo variegato e scoordinato.

E, non ultimo, vanno rilanciate le autonomie locali; ma anche le autonomie economiche e culturali, che sono la ricchezza da coltivare proprio per evitare che si accentui sempre più l’omogenizzazione e l’eccesso nazionalistico.

Infine sarebbe necessario ripensare a presenze, adeguate al terzo millennio, di tipo mutualistico, sindacale, cooperativo, associativo, per riunire le persone attorno alla difesa e alla valorizzazione di valori folkloristici, culturali, spirituali, per attività formative o di impegno civico. La ripresa e la valorizzazione di momenti e di istituti partecipativi diventano indispensabili per aiutare questa rinascita comunitaria e solidale.

Certamente la politica deve fare la sua parte con interventi che non mortifichino famiglie e comunità, con interventi sia fiscali, che di servizi; per rafforzare un tessuto che è l’ossatura portante di tutta la società. Le misure del cosiddetto Family Act sembrano andare in questa direzione.

Carlo Baviera