Ammutolita ho attraversato prima Pretare poi Arquata. Le avevo già viste le case: dilaniate, rotte e monche, che cullavano ancora le loro macerie. Ora che sono spoglie assomigliano ai resti di antiche civiltà. Dal terreno spuntano ancora erette alcune pareti esterne sorrette dalle fondamenta; gli interni, ciò che era una cucina, un soggiorno, la camera matrimoniale, non è più visibile. Di un ristorante pizzeria è rimasto mezzo muro che regge la finestra. Non si capisce quale fosse l’entrata per i consumatori.
Ciò che non è crollato ha dovuto cedere la casa a fianco e ora mostra il colore pallido del lato scoperto. Sembra quasi un’offesa fissarlo per capire. Poco più avanti il villaggio con le sue casette si apre protetto da staccionate, piante e bandiere. Bandiere italiane, perché ci vivono i nostri. Stradine e vasi di fiori addolciscono gli ingressi, bici e bucato a stendere segnano il tempo che passa.
Il navigatore insiste, anzi la voce, perché è una lei, vuole tornare indietro. Non c’è niente da vedere, smammate, direbbero se potessero, la voce si è persa tra i satelliti. Reti di protezione ci permettono di passare, strade larghe sono ormai un ricordo, aperte solo a una corsia. Poi la voce ritrova l’orientamento, la esse esse venti oppure trenta non ricordo, poi la esse erre sessantuno quando arriviamo su un ponte crollato e agibile solo nel mezzo. La strada si allarga, bella, asfaltata a nuovo. Prima la scritta Accumuli e poi Amatrice. Mai vista ed era meglio se non la vedevo.
L’ingresso è un calvario. Rasa al suolo, spiazzi nudi o bordati di nastri arancioni, è un crollo dopo l’altro, come fosse successo un anno fa. La folla inizia dopo, con le strutture in legno e vetro, camper, file, parcheggi, ristoranti pieni. Oggi è festa, non c’è posto.
Ci facciamo un tagliere a Norcia?
Perché no.

Michela Santini

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