Rita Stanzione, “Spazio del sognare liquido”

2012, Ed. Rupe Mutevole – Collana Heroides, Poesia

[…] Non esisto/ non esisti/ non distinguo più i corpi,/ cremosi impasti/ in sproloqui di spasimi.// Lingue sospinte/ vene incollate/ avvolgono le emozioni/ di umori selvatici. […]” – “Il Grido”. L’inesistenza dell’Io che avvolge emozioni antiche, un istinto selvaggio che unisce due corpi in un unico umore, suono e grido. Una poetica struggente e melanconica.

L’autrice celebra l’elemento di vita, l’acqua, e la dimensione onirica, considerando la relazione di creazione che interviene nella mente, immaginata come fiume che scorrendo genera la fantasia. La stessa acqua fonte di vita è vista fonte d’amore ed eros, rappresentando la silloge un circolo di desideri di completamento fisico e mentale.

Il volume si presenta con un titolo che affascina perché spiazzante e non di semplice interpretazione. Il sogno liquido è elemento che scorre, acqua nostra prima compagna nell’abitacolo materno e fonte di ogni vita, nonché veicolo di tutte le sostanze che ci nutrono. Il titolo, dato da una delle poesie della raccolta, ci dice di un elemento fluido che attraversa la mente e “bagna” l’immaginazione, rendendola un divenire creativo. Come un fiume è la fantasia e quindi il sogno-visione che trascina anche il corpo e le sue peculiarità, risultanti di percezione e materia insieme. La poesia Spazio del sognare liquido è un percorso di ricerca dell’altro in uno spazio messo in scena dal ricordo fluente che arriva con l’assenza, tanto intenso da diventare fisico, quasi doloroso mentre già sfuma, mentre la stessa  voce parlante è come acqua, scivola nella notte senza una forma. Uniti, amore ed eros rappresentano la tematica della silloge: uomo e donna (amanti e amori, conflitto o idillio, attrazione, inganno, fatalità) riempiono i versi  in un ricorrente bisogno l’uno dell’altra, vuoi per il desiderio di completarsi, vuoi per vincere la solitudine verso la quale infine veniamo proiettati. Tale bisogno tocca più volte un apice, come nella poesia Addomesticami dove l’Io poetico, palesando un’invocazione amorosa di grande emozione,  richiede di essere addomesticato, forse per necessità di appartenenza, per il timore di vagare nella vita come monade o metà non appaiata e riconoscersi in un contenitore di emozioni adatto al proprio essere.

Commento a cura di Alessia Mocci (Rupe Mutevole) e dell’autrice

Immagine di copertina di Barbara Calcei, in arte Bake: Solitudo, olio su tela, 80×100 cm, 2005