SALVATORE SCALISI

LO STRANO CASO

DELL’INVISIBILE  SCOMPARSO

Prefazione

             Nelle pagine che seguono il terzo e ultimo romanzo della trilogia dedicata alla vita dei senza fissa dimora e al mondo di indifferenza e abusivismo morale che li circonda.

     Con i tratti stilistici di un neo-verista Salvatore Scalisi inscena il terzo e ultimo atto che ritrae i chiaroscuri della vita di un senza fissa dimora che si è ritrovato nella condizione di vivere ai margini della società pur essendo il protagonista di una umanità autenticamente genuina e priva di tutti gli orpelli del secolo post-industriale.

     Scalisi è abile nella costruzione di intrighi letterari che accedono alla trama giallistica e in questa sua ultima opera emerge questa sua predisposizione naturale che si intreccia magicamente con la denuncia di carattere sociale.

     Reale e surreale, verità e finzione così si incrociano in quel sapiente dosaggio artistico e letterario che Scalisi tesse con il suo incedere narrativo incalzante, ma in grado di coinvolgere il lettore immergendolo di peso nella dinamica della storia.

     Scalisi ha abituato il lettore alla durezza e alla crudezza: i senza fissa dimora sono figure amorfe per la società, spesso anche per quel mondo di assistenza e beneficenza che orbita intorno ad essi; i senza fissa dimora sono ignorati come l’altro che non esiste in una società in cui l’avere conta più dell’essere e non si bada più di tanto se l’altro ha un minimo sufficiente per poter essere, nel senso di esistere.

     Ebbene, in un tale scenario sempre duramente e giustamente denunziato dall’opera dell’autore, emerge questa volta il paradosso: un invisibile, cioè un senza fissa dimora, scompare senza lasciare più traccia.

     Scalisi fonde così la sua esperienza letteraria di scrittore di gialli con la sua esperienza esistenziale di senza fissa dimora catapultando letteralmente il lettore nella suspense del racconto che si snoda tra indagini, minacce e giochi di potere.

     Un libro che chiude un ciclo letterario dedicato ai senza fissa dimora, ma che apre, per il lettore attento, oltre che il fascino del divertimento letterario di una storia interessante e ben scritta, anche e soprattutto l’educazione morale alla partecipazione sociale di chi dalla società viene normalmente escluso.

Avv. Aldo Vitale

***

Un’inchiesta su una strana scomparsa di un senza fissa dimora, porta il protagonista a scoprire così la punta dell’iceberg, una gerarchia dove l’uomo scomparso era solo un granello di sabbia, un sassolino nella scarpa delle associazioni di volontariato e da chi li finanzia. 

Lo scrittore con l’utilizzo dei flashback e attraverso le interviste da parte del giornalista  alle persone che conoscevano il senzatetto scomparso, ci delinea la sua personalità e il suo pensiero riguardo il suo stato e come si imponeva davanti ai soprusi delle associazioni.

Il protagonista è l’alter ego dell’autore, che ai fini della stesura dell’opera ha voluto vivere quella cruda realtà.

La trilogia è frutto del materiale raccolto in quel periodo a stretto contatto con le associazioni di volontariato e degli indigenti.

“Lo strano caso dell’invisibile scomparso” farà luce su quella parte della società che si tende a dimenticare e che le associazioni sfrutta.

Instagram: solestellina78

***

Il cameriere poggia sul tavolo le due pietanze a base di pesce e si allontana dopo aver augurato buona cena ai clienti, intenti a sorseggiare del vino rosso.

«Ottimo!» dice l’uomo, sulla cinquantina, con indosso occhiali da vista, riferendosi alla bevanda.

«Sì, è veramente buono» replica il compagno di tavolo, quarantenne, capelli color castano chiaro, lunghi legati a coda di cavallo. «Il pesce presumo che non sia da meno.»

«Lo sapremo subito. Ha detto che scrive per un quotidiano di caratura nazionale.»

«Fra i più importanti; non sono solo io a dirlo, naturalmente.»

«Come mai ha deciso di scrivere un articolo su di noi? Voglio dire, a cosa serve? Se ne parla tanto e non cambia mai nulla» afferma l’uomo con gli occhiali.

«Lo so» risponde il giornalista, mentre inizia a gustare l’orata arrosto. «Ma non per questo bisogna arrendersi. Vorrei incentrare l’articolo sul suo amico, di cui non si hanno notizie … da due anni, dico bene?»

«Due anni e tre mesi per l’esattezza.»

«Già.»

«Lo fa per dare più enfasi all’articolo, giusto?»

«Se può servire alla causa, perché no! Intendo scrivere un articolo di forte denuncia verso le istituzioni, nessuno escluso. Esistono delle responsabilità oggettive che vanno rese pubbliche, sempre, e in ogni caso. Non lo faccio per vincere chissà quale premio giornalistico; io sono dalla vostra parte.»

L’uomo con gli occhiali inizia la cena mangiando l’insalata mista.

«Dicono tutti così; non è che lei non sia in buona fede, ma se credessimo a tutto quello che dicono su di noi il problema sarebbe risolto da un bel po’ di tempo.»

«Bisogna insistere con rinnovate e mirate accuse. Viviamo in una civiltà civile, certe realtà sono inaccettabili.»

«Come se non lo sapessero; la verità è che, può sembrare assurdo, noi facciamo loro comodo. Che piaccia o no, siamo costretti ad esserci, a esistere, come il bene e il male. Noi siamo la vostra salvezza.»

Il giornalista lo ascolta impassibile.

«Non diamo nulla per scontato, ma crediamo a una presa di coscienza di chi sta al potere. Tentare non costa nulla; se dovesse tirarsi indietro, sappia che non lo biasimerò.»

«Ci ho guadagnato una cena, perché dovrei tirarmi indietro» dice col sorriso sulle labbra l’uomo con gli occhiali.

«Ok» il giornalista tira dallo zainetto un piccolo videoregistratore e lo poggia sul tavolo. «Serve per registrare la nostra conversazione; le dà fastidio?»

«No.»

«Possiamo iniziare» l’uomo mette in funzione l’apparecchio.

«Ha provato a contattare i suoi familiari?»

«Sì, ho parlato con la moglie e il figlio; naturalmente sono distrutti dal dolore, pregano ogni attimo che non gli sia successo nulla, che abbia voluto cambiare aria allontanandosi da tutto e da tutti, magari scegliendo di vivere come un eremita. Insomma, sperano che sia vivo. Qual è la sua opinione a riguardo? Sì, voglio dire, pensa che sia vivo?» domanda il giornalista.

«Da due anni e tre mesi me lo chiedo continuamente e sa qual è la risposta? Per me l’hanno ucciso.»

«Una posizione netta la sua. Posso sapere cosa l’ha spinto a giungere a questa conclusione?»

«Ci siamo frequentati per tre anni di seguito, abbiamo trascorso più tempo insieme che una coppia di amanti. Fra noi non c’erano segreti, ci confidavamo tutto, le nostre angosce e la speranza di poter riabbracciare la vita che, di giorno in giorno, andava affievolendosi.»

«Qualcuno pensa che possa essersi tolto la vita.»

«Il corpo si è trovato?»

«No.»

«Non le sembra strano?»

«Sì, può darsi.»

«Non si troverà mai, può starne certo.»

«Quindi esclude del tutto che possa essere ancora vivo.»

L’uomo con gli occhiali guarda fisso negli occhi il giornalista.

«Era un uomo eccezionale …  »

                                        ***

«Ci eravamo conosciuti, come spesso succede in questo ambiente, in una mensa dei poveri; è stato, come si suol dire, un vero colpo di fulmine. Grande sintonia di pensiero; entrambi ci trovavamo in un contesto di vita, o meglio, di non vita, che non ci apparteneva, ma che ci stava pian piano assorbendo, soprattutto me, il più fragile dei due, nonostante fosse un veterano. Massimo aveva le idee chiare.»

                                         ***

«Non ci rimarrò molto in questo ambiente, voglio uscirne prima che l’ingranaggio mi soffochi» afferma, seduto su una panchina, Massimo.

«Niente male come programma» replica Sergio, seduto a fianco, mentre si pulisce gli occhiali con un fazzoletto di carta.

                                        ***

«I propositi erano più che onorevoli, peccato che non si muovesse foglia, che tutto rimanesse tristemente immutato. Il tempo scorreva inesorabilmente e così ci trovammo a festeggiare il primo anno trascorso insieme. Nulla di impegnativo: un dolce e un caffè seduti in un bar.»

                                        ***

«Ho notato che hai la pancia gonfia» dice Sergio.

«Sarà tutta quella pasta che ci danno da mangiare; ci ingozzano come fossimo galline. Senza contare lo stile di vita che facciamo» risponde Massimo, gustando la treccia al cioccolato.

«Strano, perché maciniamo parecchi chilometri a piedi.»

«Mi si ingrossa solo la pancia, perché il resto, in modo evidente il viso, sembrano appartenere a un internato.»

«Non volevo dire che stai male» cerca di correggersi Sergio.

«Menti spudoratamente.»

«Ok. Diciamo che non siamo in una forma smagliante.»

«Ho dormito, si fa per dire, in tre dormitori, credo che in città non ce ne siano altri, che non hanno lasciato in me un buon ricordo, ho mangiato in varie mense che hanno messo a dura prova il mio povero intestino; a questo punto rimangono due alternative: continuare a farmi del male, o allontanarmi definitivamente da questo circolo vizioso» dice Massimo.

«E quale sarebbe questa seconda alternativa?» chiede Sergio.

«Non andare più in questi posti, a costo di lasciarci la pelle. Naturalmente mi riferisco a me, e conosci il motivo.»

                                        ***

«Sì, conoscevo il motivo» afferma Sergio, sorseggiando il vino rosso. «Non aveva avuto mai peli sulla lingua, creando intorno a sé un clima di ostilità.»

«Di che tipo?» domanda il giornalista.

«Non era visto di buon occhio per quello che andava a dire in giro sui servizi offerti dalle varie associazioni di volontariato; più delle volte si è scontrato verbalmente con i diretti interessati, compresa la chiesa rappresentata dalla Caritas. In sostanza, lanciava critiche e accuse forti, e questo faceva di lui una sorta di anticristo.»

«Immagino però che non fosse l’unico a non essere contento e a criticare i servizi delle associazioni di volontariato» commenta il giornalista.

«Sì, lo faccio anch’io, ma non in maniera dura e pesante com’era solito fare Massimo. Ho cercato invano tante volte di dissuaderlo a lasciar perdere, anche se ero pienamente d’accordo con lui. Provavo quasi invidia … »

«Credo di aver capito che avesse preso una decisione drastica sul fatto di non voler più ricevere aiuti da queste associazioni.»

«È vero, ma questo non significa allontanarsi senza dare più notizie di sé, o peggio ancora, togliersi la vita. Lui amava la vita, così come amava la sua famiglia, il figlio fra tutti. No, nessuno mi convince che possa essersi suicidato. L’hanno tolto di mezzo, dandogli una lezione, nel momento più opportuno.»

«Non ci sono prove» osserva il giornalista.

«Certo, probabilmente non verranno mai a galla, a meno che qualcuno, un volenteroso, non si dia da fare a scovarle» risponde Sergio, guardando dritto negli occhi il suo interlocutore. «Intende scrivere un articolo inchiesta, o sbaglio?»

«Sì.»

«Bene; io non la conosco, ma ha l’opportunità di far valere le sue capacità giornalistiche, di acquisire notorietà e diventare famoso; non la sprechi.»

                                        ***

«Notavo che accusava segnali di stanchezza psicofisica, di insofferenza verso il mondo intero, ma, tutto sommato, reagiva bene, mi sembrava determinato a tirarsi fuori dall’inferno in cui era precipitato. Non è facile per nessuno, lui dimostrava di possedere quel qualcosa in più che lo avrebbe portato a rivedere la luce; il desiderio di riabbracciare la vita. Sembrerebbe una frase scontata, ma non è così, la stragrande maggioranza di chi vive in strada ha perso ogni speranza di rivalsa, si rassegna; lui no. Non è cosa da poco, ed è ciò che alla fine fa la differenza in questo mondo di diseredati. Dopo la breve e brutta esperienza in tre dormitori della città, Massimo ritorna a dormire in strada, ed esattamente sotto un portico di uno stabile, disteso per terra sopra un cartone, avvolto da una coperta, come il classico dei clochard. Io gli facevo compagnia. L’estate era agli sgoccioli e il pensiero di trascorrere un altro inverno all’addiaccio minava il nostro umore, già di per sé non al massimo splendore. Non davamo fastidio ai condomini del palazzo, quindi ci lasciavano stare. La mattina raccoglievamo le nostre cose, cartone e coperta, e le mettevamo in un posto al sicuro, all’interno di un interstizio in prossimità dei garage. Massimo volle mantenere la decisione presa, e cioè, di non essere più mantenuto dalle associazioni di volontariato. La cosa non sarebbe stata grave, se non fosse che in tasca aveva pochi soldi, quanto basta, facendo economia, per sostenersi al massimo un paio di settimane. Io non ero messo meglio di lui, ma accettai di condividere questa ventata di libertà. Per colazione ci compravamo un panino, anche senza companatico. Quanto meno era salutare, piuttosto che mangiare quelle schifezze, che non sai mai cosa ti danno.»

                                        ***

«Il nostro stomaco ci ringrazierà» dice Massimo, dopo aver mandato giù il primo boccone.

«Sono d’accordo; ma non potrà durare a lungo» replica Sergio, in cammino con l’amico in una via del centro della città, entrambi zaino alle spalle.

«Dovremmo cercare di fare qualche soldo.»

«Questo è poco ma sicuro, se vogliamo renderci indipendenti. Il problema è come fare.»

«A volte sono tentato di lasciarmi andare ad azioni allucinanti … » afferma con un’espressione dimessa Massimo.

«Sarebbe?» chiede Sergio.

«Chiedere elemosina, o peggio ancora, commettere qualche gesto poco pulito, pur di avere qualche soldo in tasca; una semplice boccata d’ossigeno.»

«Credo che questo pensiero sfiori chiunque sia costretto a vivere nelle nostre condizioni» osserva Sergio.

«E ciò ti sembra normale?»

«Perché, noi conduciamo una vita normale?»

«Già. Non so a cosa andrò incontro, non devi per forza seguirmi.»

«Mi sono stancato della solita routine, quindi, accetto ben volentieri un cambiamento di rotta» dice col sorriso sulle labbra Sergio.

                                        ***

«In verità ero preoccupato, e credo che lui non fosse da meno; ma aveva pienamente ragione, era arrivato il momento di dire basta, ad iniziare proprio dalle associazioni di volontariato, che ti legano giorno dopo giorno in una morsa asfissiante, fino a non farti respirare più, con l’inevitabile morte dello spirito, ancor prima del corpo.»

«Quindi, ha appoggiato la sua decisione» dice il giornalista.

«Sì, senza nessun pentimento, a costo di lasciarci la pelle; tanto ormai non avevamo più nulla da perdere» risponde Sergio.

«E della famiglia non vi importava nulla? Il suo amico ha un figlio, e immagino che anche lei avrà dei legami.»

«Sì, ho un figlio anch’io, il quale non vedo e non sento da anni; può anche darsi che si sia scordato di me.»

«Come fa a saperlo? Ha provato a contattarlo?»

«Per dirgli cosa? Che continuo sempre più a sprofondare nella merda? Preferisco farne a meno. Una volta che si entra in questo ambiente bisogna mettere in conto il rischio, tutt’altro che flebile, che vengano compromessi i rapporti familiari, con gli amici, praticamente con tutti coloro che prima erano parte integrante della nostra vita. Si rimane sempre più soli, forse voluto in buona parte dalla nostra volontà di non essere di peso a nessuno, di provare quasi vergogna per essere finiti in un contesto di estrema povertà e, di conseguenza, di emarginazione. Non ci accettiamo e siamo convinti di non essere accettati perché visti dagli altri come persone fallite, persino da chi dovrebbe starci vicino.»

«Non credo che i suoi familiari la pensino in questo modo.»

«Ma lo penso io; questo è più che sufficiente per starmene alla larga, sin quando le cose non cambieranno.»

«Potrebbe richiedere più tempo del previsto. Facendo così preclude l’aiuto da parte delle persone a lei più care.»

«Se ci fosse stata questa possibilità l’avrei fiutata e sarei rimasto buono buono nella mia città ad attendere la lieta notizia, invece di allontanarmi centinaia di chilometri.»

«La distanza che la divide dalla sua famiglia non le è di grande aiuto.»

«Massimo è rimasto nella sua città, a cosa gli è servito?»