Visi che strisciano come teatri
misteriosi oltre il sonoro
ignavi da bocche sfatte,
dinieghi di sorrisi
sotto il cappello di cilestro
spento – e sono vedove
quelle assuefatte al logorio
dell’ora, perduto l’utero di gioia.
Diritte, e tali i cecchini
che sembrano aspettare i Tartari
nel camuffare mote
di solitudine.
E l’alba è un acro di cortili ciechi
l’alba non abita
non irradia, piange sui muri.
Avesse nelle mani uno scalpello
e un’epoca di rosa
dietro la tela
avesse un altro quadro
di alberi, e non fortezze.

Menzione di merito al XVI Concorso Nazionale di Poesia
“Il castello di Sopramonte”, Prato Sesia (NO)

Immagine: George Grosz, Alba, 1922