“La danza delle nuvole” di Mara Benedetti, 

ovvero la scrittura poetica come percorso dell’anima

Recensione di Mario Santoro

A leggere le poesie del volume La danza delle nuvole di Mara Benedetti non si ha la sensazione di trovarsi dinanzi a una neofita delle scrittura poetica perché le composizioni, già al primo impatto, risultano ben costruite e stilisticamente sulla linea della brevitas nella varietà delle scelte tematiche, mantenendo sempre una propensione al rigore dal quale l’autrice non deflette. E ciò le consente non solo di ritrovare, in ogni circostanza, se stessa e il suo mondo di riferimento, ma anche di puntare a certe precisazioni gradevoli in contesti di riferimento allargati e diversificati, conservando sempre intatte la spontaneità e la freschezza delle immagini. Di qui la felicità di talune intuizioni, la franchezza apprezzabile di certe comunicazioni, l’autenticità dell’autrice, e una autentica linea di apertura verso gli altri, senza prevenzioni di sorta. Ne scaturisce una poesia che si legge facilmente, cattura l’attenzione, mantenendo viva la tensione emotiva, tenuta sempre sotto controllo, accenna continuamente ad una evidente propensione verso il futuro, non disgiunta da uno sguardo attento al passato che ritorna, a tratti, e sa alludere al sogno fondando sull’illusione e sulla speranza che risultano a valenza sempre positiva, pur non celando momenti di sospensione, bisogni di quiete, ricerca quasi del sicuro e protettivo rifugio.

Ed è poesia che si potrebbe definire di luce che filtra da tutte le parti e rischiara, anche nei momenti non propriamente felici; di conseguenza tende all’ottimismo, non quello facile e di maniera, alla conquista della serenità dell’anima, alla positività della visione che emerge dai vari spunti e tende ad allargarsi in cerchi concentrici sempre più ampi. Di qui anche la scelta felice del titolo della raccolta La danza delle nuvole, laddove il richiamo alla danza è dominante oltre che ritornante, quasi un’iterazione insistita, e suona come un invito di partecipazione agli ipotetici lettori disegnando quasi movimenti dolci, morbidi, flessuosi, nel richiamo indiretto a certe carole antiche con la grazia implicita e la vezzosità dei gesti. Si tratta, dunque, di danza fisica e spirituale, di elemento evocativo tendente quasi all’immateriale, anche nell’accostamento alla leggerezza delle nuvole con il loro movimento per il cielo, senza un’apparente direzione, nel loro farsi, disfarsi e ricomporsi sotto altra forma e sempre capaci di accendere la fantasia di chi le osserva. Di qui la domanda della Benedetti: “Cosa sono le nuvole?”, con la conseguente risposta: “Nient’altro che messaggi criptati / stilati abilmente in buffe formelle / di panna montata…” (La danza delle nuvole).  E allora vien voglia anche al lettore di partecipare al gran gioco, di dare ampio spazio alla fantasia e di apprezzare l’eleganza dei movimenti delle nuvole che realizzano danze straordinarie e tutte da gustare: non frenetici movimenti ma armoniose movenze nel coinvolgimento pieno e corale. In una condizione siffatta viene naturale all’autrice collocare l’anima del fratello Luca: “…Mentre tu, in volo senza ali, / piroetti tra loro, / annoiato dal mondo terrestre, / sospeso nel cielo ritrovi equilibrio…”.

Ed eccoci quasi ad una condizione catartica di ideale appagamento totale dell’anima, altrimenti impossibile. Danza con funzione salvifica, si potrebbe dire! La poetessa la ricerca e la ritrova nella natura come dichiara nella poesia di apertura:“…Il suono del tamburo ci guida / verso paesaggi luminosi, / gli animali ci attendono, per festeggiare. / Insieme danziamo nella foresta vivace” (La foresta vivace). E questa esigenza di movimenti aggraziati torna ancora nel bisogno di librarsi in volo, di “volteggiare all’infinito”per un godimento semplice, genuino, pieno “della mia anima danzante” (La mia anima). Si tratta di anima che si coniuga bene con il cuore nel bisogno fisico-spirituale di esprimersi e di eliminare “tracce che dubbi e follie / disegnano sulla tua fronte” (La danza) e di eseguire passi di danza “intorno a te / mentre dormi supino”senza smettere mai anche quando essi tendono a rallentare per riprendere fiato: “Al ritmo del tuo cuore / ricomincio la danza”. Si delinea con chiarezza il percorso poetico e così, pur in presenza di “pensieri dimenticati” che “bussano” e di “tormenti antichi”, che “imprigionati dal petto / nelle vene si diramano”, si approda sempre alla condizione di libertà per effetto di una “danza liberatoria” (Terra). 

E si approda sempre più convintamente, alla poesia della positività, della speranza che si fa certezza, o almeno ad essa tende continuamente, e si arricchisce di elementi concreti e simbolici che vengono, di volta in volta, alla luce ed hanno il carattere della spaziosità. Accade lo stesso nella poesia Eridano che si apre con la dichiarazione d’amore autentico per il luogo natio, piccolo e tranquillo ma con orizzonti chiari, nel loro delinearsi precisi, e tuttavia tendenti a perdersi per effetto della lontananza e belli anche quando “la nebbia mattutina / si leva dai campi / per mostrare la rugiada argentata”; nebbia che sfuma nel rimando indiretto al pascoliano “Vedi la nebbia mattinal fumare”. E quando essa scompare del tutto e ritornano nitidi gli orizzonti, esplode quasi l’affermazione della poetessa: “Sono nata qui / in un piccolo borgo / della Pianura Padana, dove gli orizzonti / sono ancora intatti”. Si tratta di una legittima orgogliosa dichiarazione d’amore per un piccolo borgo che consente una visione tendente a farsi molto ampia per la “strana creatura” che preferisce dare più che ricevere nella sua naturale propensione ad amare e a donarsi generosamente agli altri e che chiede solamente di essere accettata: “Apprezzatemi per quella che sono: / una strana creatura” (Una strana creatura). 

A guardare poi bene, la figura dell’autrice non si può dire certo strana ma piuttosto eccezionale tanto più in riferimento al contesto sociale attuale. La Benedetti sa vivere momenti di intimità e bisogni di silenzi e di solitudini come raccoglimento dei pensieri: “A fogli bianchi confido pensieri; / scrivo parole e svuoto la mente. / Musica e danza temprano il corpo” (Gli amici fidati). E torna così, ancora più chiaro, il concetto di poesia salvifica capace di donare equilibrio e rasserenamento al punto che può dichiarare: “Anche oggi non mendico affetto e, / da quando te ne sei andato, / non mi sento più sola”. A consolarla e a darle gioia, fino all’appagamento, è la natura con i suoi straordinari panorami e le bellezza mozzafiato: ora è l’alba col chiarore che porta con sé, ora è la terra che ella cerca con le mani, ora è un semplice e normalissimo lampione che solitario sembra aleggiare come un “bacio sospeso” (Sotto il lampione), ora ancora sono i prati ed una “folle primavera” (Campi di poesie) che, quasi leopardiana “brilla nell’aria e per li campi esulta”, ora infine si tratta di lucciole brillanti e di grilli canterini, di cose semplici e magari anche quotidiane. E questa armonia di luci, colori e suoni vale anche quando l’autrice apre il suo cuore a una sincera confessione: “Ho bisogno di abbracci, di carezze, / di nuovi colori da cercare / in fondo ai tuoi occhi” (Il profilo).

Non hanno meno valore gli affetti familiari come il bene per la madre che ricorda nell’immagine bella e dinamica che torna per memoria. La poetessa rievoca se stessa bambina in ammirazione e pronta a spiare ogni mossa della genitrice e, conseguentemente, ad imitarla. Il bel ricordo procura, a distanza di anni, una sorta di malinconia dolce: la madre dinanzi allo specchio e quasi un’ombra sul suo viso con la immediata rassicurazione della poetessa: “Non temere, / sei bella come sempre, / mamma!” (Ti ammiro). Altrettanto significativo è il richiamo alla figura paterna che viene rievocata attraverso una foto. Ed è ricordo tenero del padre che è un po’ sbarbariano, “se anche tu non fossi mio padre… per te stesso, ugualmente t’amerei”. L’autrice sottolinea la sua paziente capacità d’ascolto di tutte le pene e le noie della figlia ed è convinta che ancora ora dall’alto continua a proteggerla “tra una nuvola e l’altra” (Papà)senza mai perderla di vista. Il dialogo-monologo breve produce il suo effetto al punto che ella può scrivere: “Chiudo gli occhi, / uno strano colore mi avvolge. / Anche questa volta / sei venuto a liberarmi”. 

Ma ci sono ancora temi significativi che spaziano, dall’amicizia alla libertà, dalla solitudine, nelle sue forme più diverse, alla socialità, dal suono antico eppure nuovo delle campane, alle luci sfolgoranti della città di sera, fino ai tanti paesaggi evocati “tra montagne / di zucchero e farina, / cascata di miele / e frammenti di mandorle” (Dolci paesaggi), alla “magia ingrediente segreto / di una poesia” (Binomio), al silenzio, profondo e sovente ristoratore, e infine al piacere dei rapporti interpersonali e al desiderio di ripensare, in un angolo tranquillo o, magari, tra le cose più care: “Amo il profumo dei libri, / tocco le parole stampate”(Rifugio). E non sorprende la voglia dell’autrice di cimentarsi con forme compositive meno consuete, seppure antiche, come l’acrostico che caratterizza le commedie plautine o il sonetto boiardiano con in bella evidenza il nome di Antonia Caprara, la donna amata dal poeta in questione; in questo caso Mara  Benedetti adotta una linea moderna dal momento che non si limita allo svelamento della frase assunta a soggetto o del nome del dedicatario evidenziando la prima lettera di ogni verso, né fa ricorso la classico mesostico ma va ben oltre rimarcando la prima lettera di ogni parola. Valga come esempio l’acrostico dal titolo I voli pindarici con richiamo a due nomi femminili: Linda e Sofia.

Libellule imprevedibili,

noi danziamo

altalenanti e sorvoliamo 

orizzonti fluttuanti;

inventiamo acrobazie”.

E il tecnicismo obbligato, va da sé limitante e restrittivo, non condiziona la resa del verso e non limita la portata delle sensazioni e dei sentimenti e ciò rende la sperimentazione accettabile e gradevole. 

Ma ci piace chiudere con i versi teneri, dolci, delicati che tendono a farsi melodioso canto o, se si vuole, preghiera, come recita il titolo della poesia in questione:

“Ormeggi la tua barca.

Nella mano hai una stella marina,

me la posi tra i capelli.

Sulle labbra il sapore del sale.

Anch’io ho un dono:

il mio canto di sirena

…………………..”.

(Il canto)

E alla poetessa, che si fa porto di quiete, auguriamo che il suo canto continui e la attendiamo a sempre più nuovi e significativi approdi letterari.

Mario Santoro

Mara Benedetti, La danza delle nuvole, Guido Miano Editore, Milano 2019, pp. 64, € 7,00; isbn 978-88-31497-22-0.