Antonella Viola: Ci sono poesie che impariamo da bambini e che, quasi inconsapevolmente, ci portiamo dentro per sempre 

Per me, questa poesia è Natale di Giuseppe Ungaretti. Scritta in piena guerra, nel 1916, Natale ci racconta la stanchezza e la sofferenza dettate dall’esperienza del conflitto bellico. Ci parla di un momento storico terribile, di un Natale difficile, durante il quale sembra che l’unica risorsa a cui attingere sia il raccoglimento. 

Noi non siamo in guerra, e non ho mai apprezzato i toni militari con cui si sono descritti la pandemia e i nostri tentativi di affrontarla, ma, certamente, anche quello che sta arrivando non sarà un Natale come gli altri. 

Stiamo finalmente assistendo ad un rallentamento nella crescita dei contagi, nonostante il numero impressionante dei decessi di ieri. Ormai però abbiamo imparato che i decessi sono gli ultimi a rallentare, e che i morti di oggi riflettono i contagi di tre o quattro settimane fa; questo ci deve dare la forza di non disperare e continuare a seguire le regole che stanno funzionando. L’approccio delle restrizioni su misura, sulla base dei parametri identificati, è una buona strategia per cercare di contenere il virus e limitare i danni dal punto di vista sociale. Ma, come è stato detto molte volte, nessuna misura è efficace se i cittadini non la condividono e la rispettano. E credo che mai come oggi questo sia uno dei compiti principali degli scienziati che raccontano la pandemia: spiegare il perché delle regole, in modo che tutti possano capirne l’importanza e, quindi, osservarle. 

Il premier Conte ha detto chiaramente come stanno le cose: a Natale non sarà consentito sciare, andare per mercatini, organizzare feste. E sono certa che per la maggior parte degli italiani il perché di questa nuova richiesta di rinunce sia evidente. Così come so benissimo che tutte le categorie di lavoratori che vivono di turismo invernale sono giustamente allarmate, e stanno cercando di proporre soluzioni alternative, non perché incuranti del COVID-19 ma per cercare di salvare il proprio lavoro. Qualcuno si chiede perché sciare dovrebbe essere un problema, visto che è uno sport che si fa da soli.

La risposta è semplice: per tutto quello che viene prima, dopo e insieme. In questo momento, con la situazione epidemiologica attuale, non ci possiamo permettere gli assembramenti per il noleggio degli sci, per accedere agli impianti di risalita, o per bere una cioccolata calda nelle baite. Non ci possiamo permettere lo spostamento di tante persone, da diverse parti del paese, verso le piccole località di montagna, dove ci si affolla nei supermercati o nei ristoranti.

Non ci possiamo permettere di ricreare quelle situazioni che, già nella prima fase dell’epidemia, hanno portato ad un forte aumento dei contagi, proprio a causa delle piste da sci. Con l’intero paese sotto scacco, con più di 50.000 morti per il COVID-19, con gli ospedali pieni e il personale sanitario stremato, con le famiglie in lutto, con i tanti lavoratori colpiti dalla crisi, con i ragazzi senza scuola questo non potrà essere un Natale all’insegna dell’egoismo. 

Lo scopo dei prossimi mesi è evidente: appiattire la curva dei contagi, ridurre i morti e i ricoverati. Per farlo dobbiamo lavorare tutti insieme, rispettando le regole e limitando le nostre attività. Se decideremo di non volerlo fare, il virus ci colpirà ancora più duramente, costringendo il governo a prendere misure drastiche e insostenibili dal punto di vista economico e sociale. 

Ci sono diversi studi che dimostrano come le persone di successo (nel senso più completo del termine) siano coloro che sono in grado di rinunciare ad una gratificazione immediata a fronte di una più grande che arriverà nel tempo. Credo che la stessa cosa possa valere per i popoli: se riusciremo a rinunciare a qualcosa oggi, avremo la possibilità di vivere meglio il domani. E se questo sarà un Natale “con le quattro capriole di fumo del focolare” il prossimo potrà tornare ad essere, per chi lo vorrà, quel periodo di vacanza e spensieratezza di cui si sente tanto il bisogno. 

(ringrazio La Stampa per aver pubblicato oggi questo mio contributo)