Federica Vanossi: AD UN PASSO DAL TRAGUARDO

Passi da formica o da leone  era uno dei giochi dell’infanzia.

I primi, più sicuri, certi di non inciampare, o cadere a terra, ferendo l’orgoglio e le ginocchia nel tragitto, ostacolavano una facile vittoria, a meno che si contasse sugli errori altrui.

Chi scherniva l’ultimo della corsa al trono, veniva messo a tacere con un detto che per i bambini suonava stridulo come una minaccia:

“Chi va piano, va sano e va lontano. Chi va forte, va alla morte”.

I passi da leone, al contrario, contando sulla generosità di chi impartiva l’ordine, rendevano sicuro l’approdo al traguardo, ma lo sforzo per conquistare il terreno era ricco di ostacoli, primo fra tutti  un volo rovinoso che avrebbe costretto ad un turno senza progressi, fermi nel punto raggiunto.

Ho sempre desiderato, come tutti , correre alla fine del sogno abbozzato in più punti su di un vecchio quaderno, utilizzato come agenda. 

Sapevo, perché lo avevo cercato sul dizionario nella libreria di casa, che agenda significava “le cose che si devono fare”, e il devo era un ordine tassativo per me così severa con tutto quello che mi piaceva vestire.

Dovevo e nel minor tempo possibile. Si trattava di una gara ad un partecipante, ma non scontata, contro il tempo, e chissà quale tempo era così nemico da spingermi a volare, piuttosto che a camminare, ritagliando spazi di tempo per gustare il paesaggio, per sostare ad un punto di ristoro e prendere fiato.

Sono passati decenni prima che comprendessi quanto fosse crudele, crudele per me e per chi mi voleva bene e si chiedeva come potessi essere tanto intransigente.

Mi faceva lo sgambetto ogni tanto mia sorella Alessandra, incalzata, oppure no, da nostra madre che gettava la spugna di fronte alla sua terzogenita, complicata e sensibile oltremodo.

Probabilmente accade ancora ma , a differenza di allora, mi piace arrendermi alle provocazioni amorevoli di mia sorella e le fughe pindariche o reali si frazionano nell’arco di un anno. 

Adesso so cosa mi preoccupava, adesso so che non ero in grado di gioire di un attimo da sola,completamente sola, senza bastoni a cui appoggiarmi, o amori incerti che stonano con il mio sorriso.

Ogni tanto, come pochi giorni fa, visito luoghi che non conosco in mia compagnia, con il telefono in modalità silenziosa e una nuova agenda che ha cambiato etimologia.

La chiamo Pandora, come la valigia, o Teodora all’occorrenza, perché ogni passo in più, da formica o leone, mi avvicina alla stella che ho scelto.

 Non so volare, se non scrivendo e le altezze non mi terrorizzano. 

Sono vicina, così tanto da toccarla, se allungo la mano….se allungo la penna stilografica.

Da qui alle stelle ed oltre.