LA CASA DI VETRO, di Vittoriano Borrelli

gennaio 15, 2021

Sono rinchiuso in questa casa di vetro dove custodisco ogni cosa che mi faccia stare bene. Una sorta di contenitore delle mie emozioni che ho prelevato dall’esterno per riviverle in tutta tranquillità come si fa quando si guardano vecchie foto del passato. Ma so che è soltanto un’illusione o, come si dice, un surrogato di quella che dovrebbe essere la vera felicità e il benessere dei sensi.

Da quanto tempo sono rinchiuso tra queste quattro mura bianche, fredde, asettiche come la stanza di un ospedale? Un giorno? Un mese? Un anno? Forse da tempo immemore che ho perso il conto da quando tutto questo è cominciato.

C’è sempre un inizio per ogni cosa, come un mal di testa improvviso, una fitta al cuore, un tumore. Sarà capitato anche a me che un bel giorno, per una ragione oscura ed inspiegabile, ho deciso di rifugiarmi in questo focolare domestico artato e ovattato da cui non riesco più a separarmi.

Mi chiamo Eugenio e ho cinquant’anni. Sono un uomo piacente anche se gli anni si fanno sentire a giudicare dalle rughe sotto gli occhi che ogni mattina, quando mi guardo allo specchio, mi ricordano che il tempo sta passando anche per me. Inesorabilmente.

Sono sposato? Forse. Ho dei figli? Forse. C’è qualcuno che mi aspetta? Forse.

Penso, non so se a torto o a ragione, di non essere mai stato amato e questo dubbio spiacevole mi porta a non ricordare, per scienza o incoscienza, le persone che hanno interagito nella mia vita per amore, odio, amicizia o inimicizia. 

Guardo la mia casa di vetro: luminosa, spaziosa con ogni cosa a suo posto. E’ un ordine precostituito che mi acquieta e mi dà pace. Tra me e la mia casa c’è un rapporto di osmosi e di reciproca corrispondenza.  L’uno è lo specchio dell’altra e viceversa.

Se trovo qualcosa in disordine mi faccio prendere dall’ansia di ripristinare uno status quo che, ai miei occhi, è la condizione ideale per la mia apparente tranquillità. Lavo le stoviglie, tolgo la polvere dai mobili, sistemo le suppellettili, lucido i pavimenti e tanto altro fino a che la mia casa non sia ordinata, splendente e senza macchie.

Si sa che quello che si prova dentro non è tangibile, palpabile, materializzabile, ma per me è accaduto esattamente il contrario: ho proiettato all’esterno tutte le mie manifestazioni interiori affinché prendessero forma e sostanza attraverso gli oggetti che compongono la mia casa di vetro. Una sorta di spia rivelatrice della mia affezione o disaffezione, rabbia o contemplazione, piacere o dolore.

Insomma ho dato anima al mio arredamento domestico perché parlasse e agisse per me.

Squilla il telefono, so chi è ma non voglio rispondere …

(continua) 

(Il seguito della storia sarà pubblicato venerdì, 22 gennaio 2021. Nel frattempo prova ad indovinare chi potrebbe essere la persona che telefona ad Eugenio).