Matteo Renzi e la lunga sottana della nonna

Editoriale Agostino Pietrasanta

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Alessandria: Ieri mattina, venerdì 15 gennaio, aprendo i giornali, su prestigioso quotidiano nazionale ho letto una notizia: 166 senatori sarebbero pronti a votare la fiducia a Conte e dunque a salvare vita, sia pure burrascosa, al governo in carica, nonostante lo “strappo” di Renzi. Si tratterebbe ovviamente di voti rastrellati anche al di fuori della scassata maggioranza del Conte II, ma in ogni caso ritenuti da molti “provvidenziali”. La cosa non mi ha particolarmente interessato e tanto meno rassicurato dal momento che ho sempre avuto ferma convinzione che se un partito deve fondarsi su robusta identità ideale, senza chiusure ideologiche, una coalizione un minimo di convergenza fondata su culture politiche plurali, ma compatibili, deve pure assicurarla. Resta inteso che, di fronte al baratro, anche per me, di necessità si fa virtù dal momento che il male minore può essere legittimo: la liceità morale è ben altro affare.

Va precisato che né interessato, né assicurato, tuttavia  una strana associazione di idee, non certo programmata, mi ha ricordato una vicenda di tanti decenni addietro, nel periodo della faticosa rinascita dello Stato democratico nel secondo dopo-guerra. Nel tardo autunno e a cavallo dell’inverno  del 1944, a Roma già da qualche mese liberata dall’occupazione tedesca, era sorto un movimento,chiamato “Uomo Qualunque” fondato da un faceto e simpatico personaggio, Guglielmo Giannini. In un primo momento il tutto veniva proposto da un giornale di cui il succitato protagonista era direttore, redattore e propagandista. Il giornale, molto presto, da periodico divenne quotidiano e aveva per titolo “L’Uomo Qualunque” e per sottotitolo una vignetta costituita da un torchietto nel quale veniva spremuto l’italiano qualunque, l’unico che, a detta di Giannini avrebbe dovuto aver diritto di costruire una città dell’uomo libera dai vincoli dei partiti che alla fine, assicurava Giannini, avevano “rotto i coglioni” (parola sua) a tutti. Per lui il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) andava letto come “Comitato dei lavativi nequitosi” che succhiava il sangue dell’italiano della strada, l’uomo qualunque della folla, tanto che c’era da temere che all’abiezione totalitaria del fascismo sarebbe seguita la tirannia dei partiti. In pochi mesi, nel corso del 1945, il giornale ebbe un successo enorme: forte di una prosa provocatoria, di un linguaggio graffiante sembrava rispondere alla domanda di sicurezza della “folla” anonima con la prassi della buona e onesta amministrazione. A capo dello Stato, un solo uomo, un ragioniere che sapesse fare i conti, eletto direttamente dal popolo, in carica per un solo anno. A liberazione avvenuta anche al Nord, il quotidiano si impose a una parte dell’opinione pubblica disincantata e disorientata da un malessere economico, materiale e morale. Le battute del quotidiano erano ricercatissime (“le Vespe”) anche dagli avversari: Calamandrei veniva ribattezzato “caccamandrei”; Fausto Gullo, “infausto grullo”, Salvatorelli, “servitorelli”, i Democristiani “i demofradici”. Togliatti, De Gasperi e soprattutto Nenni con espressioni che lascio per evitare oscenità linguistiche.

Ben presto attorno al giornale si consolidò un movimento di opinione di carattere antipolitico gabbato solo per antipartitico.  E tuttavia il Giannini, sia pure con riluttanza, fu spinto dai suoi gregari e dalle possibilità che gli si prospettavano, a fondare, lui nemico dei partiti, un partito: il colmo della contraddizione anche linguistica “Il Partito dell’Uomo Qualunque”. Sta di fatto che alle elezioni per la Costituente portò in Parlamento una pattuglia di trentacinque deputati, proprio come Mussolini nel 1921: ovviamente pura coincidenza.

I successi che seguirono nei mesi successivi furono strepitosi. Alle elezioni amministrative dell’autunno 1946 ottenne persino alcune maggioranze relative in importanti città del Sud a scapito del DC e con un larvato consenso di parecchi vescovi perplessi (eufemismo) a fronte dei governi di cattolici con i partiti di sinistra. Non solo; il Giannini, nonostante le reticenze descrittive della storiografia di sinistra ottenne risultati elettorali a due cifre anche nelle principali città del Nord e si ritenne vincente a tutti gli effetti; tanto che pubblicò una vignetta sul quotidiano: una faccia debordante di Eolo dio dei venti che soffiava da Sud verso Nord e ovviamente, nella didascalia, irrideva alla tesi ben nota del Vento del Nord.

Ora avvenne che quando De Gasperi dette vita al suo quarto governo, nel maggio del 1947, senza accordo con le sinistre (qualcuno dice “quando De Gasperi estromise le sinistre dal governo”), i trentacinque voti del partito di Giannini divennero determinanti per la maggioranza; ma il nostro faceto protagonista non ne era convinto tanto più che la DC, come gli altri partiti continuava a tenersi lontano dall’ “Uomo Qualunque”, non tralasciando neppure qualche sgarberia, sempre rintuzzata con sarcasmo e ironia dalla “vespe” gianniniane. Nell’estate però, Nenni rischiò grosso e pose la questione di sfiducia al governo anche nella convinzione che Giannini avrebbe dato corso alla crisi; e tutto, sia detto per inciso, con notevole irritazione di Togliatti che avrebbe voluto arrivare alle elezioni politiche del 1948 senza sconquassi irrisolvibili.

Nell’autunno si discusse la sfiducia al governo. Venuto il turno di Giannini che ovviamente prese la parola, l’Assemblea accorse compatta, accorse in aula sicura di divertirsi e non andò delusa. Cito riassumendo e parafrasando l’intervento. “Togliamo la fiducia al governo e se dovessero interessare i motivi, ricorrerò a una storiella. Tutti sanno che in Spagna talora vincono i monarchici e altra volta i repubblicani e tra loro non si risparmiano le gentilezze di sonore e spiacevoli legnate, C’era una famiglia di antica aristocrazia che aveva addomesticato un grazioso pappagallo a gridare “viva il re”, ogni volta che entrava in casa una qualsiasi persona.  In un’occasione vinsero i repubblicani e la famiglia fu presa di mira dai soldati e perseguita con continue vessazioni; spesso la truppa entrava per perquisire e rubacchiare. Immaginate lo scompiglio, quando i repubblicani entrando sentivano il pappagallo che urlava “viva il re!”. Per evitare mali maggiori si era presa una decisione opportuna; quando entrava la truppa nemica, un giovane nipote prendeva la povera bestiola e la nascondeva sotto la sottana della nonna e la zittiva. Il pappagallo però, dopo aver sopportato per alcune volte il mefitico ambiente, alla fine non ne poté più: dette di becco alla sottana e uscì allo scoperto urlando, meglio la morte! Viva il re” . Ora, continuò Giannini, vi spiego: la sottana è la DC noi, come la povera bestiola abbiamo resistito per un po’ e ci siamo assicurati dai comunisti, ora però non ne possiamo più: meglio la morte e togliamo la fiducia all’on. De Gasperi”. Però il faceto Giannini, mentre si scialava a descrivere sul giornale le risate di tutta l’Assemblea veniva informato che i suoi 34 (trentaquattro, il trentacinquesimo era lui) deputati, anche per intervento di autorevoli personalità della S. Sede avevano deciso di essere “responsabili” o, se volete, “costruttori”. Il governo ebbe la fiducia la DC si riprese quasi per intero i voti con la convinta approvazione dei vescovi del Sud e Giannini crollò miseramente. Nell’aprile del 1948 non fu neppure eletto e nel 1953 la DC gli offerse una candidatura per il Senato, in un collegio assolutamente impraticabile per qualunque successo che non fosse quello del Partito Comunista Italiano; cosa volete farci: i DC erano così.

Ovviamente non propongo alcuna forma di “accostamento”; si tratta solo di una personalissima associazione di idee neppure pensata più di tanto: Giannini era un personaggio colorito e faceto fin che volete, ma persino ingenuamente simpatico. Renzi non mi pare abbia queste caratteristiche.

Vorrei però aggiungere una domanda, completamente fuori tema, ma  che mi ronza nella testa come cento calabroni; se al posto di Conte ci fosse stato Andreotti pensate che sarebbe finita nello stesso modo?