Antonella Viola: In un mondo globalizzato le strategie di contenimento di un’epidemia devono essere coordinate e interconnesse

Viviamo in un mondo globalizzato e nulla ce lo ha dimostrato così chiaramente come questa pandemia. Non importa dove un nuovo agente patogeno si generi: il mondo interconnesso lo potrà trasportare ovunque, indipendentemente dai confini geografici o politici. 

Ecco perché anche le strategie di contenimento di un’epidemia, così come, in generale, quelle volte al raggiungimento di salute e benessere, per poter essere efficaci, devono essere coordinate e interconnesse. Facciamo un esempio concreto e attualissimo: immaginiamo che i paesi più ricchi riescano ad accaparrarsi la stragrande maggioranza dei vaccini disponibili, lasciando quelli poveri sprovvisti. 

Nel tempo, il virus lasciato libero di replicarsi in Africa o in qualche regione dell’America del Sud potrebbe cambiare, inserire cioè nel suo RNA una serie di mutazioni che renderebbero i vaccini inefficaci. E potrebbe quindi tornare a colpirci. 

A prescindere da questioni di tipo etico, laddove queste non riuscissero a smuoverci, la risposta globale a COVID-19 è, dunque, una questione di necessità.

I vaccini sono una delle più importanti “armi di protezione di massa”. Lo sa bene GAVI, l’alleanza per i vaccini che vede collaborare ONU, UNICEF, Banca Mondiale, la Fondazione Bill&Melinda Gates e diversi privati, tra cui le aziende che producono e commercializzano vaccini, e che ha lo scopo di rendere la vaccinazione accessibile a tutti. 

Seth Berkley, amministratore delegato di GAVI, ha dichiarato in un’intervista che, nel caso dei vaccini anti-COVID-19, bisognerebbe coordinare le azioni a livello globale, identificando quelle aziende in grado di partecipare ad un processo produttivo integrato su scala mondiale. Purtroppo, questo non sta accadendo. 

Le varie potenze mondiali si sono giustamente preoccupate di acquistare le dosi per i loro cittadini ma non hanno proposto un piano di produzione su licenza, in supporto alla produzione della casa farmaceutica proprietaria del vaccino. 

E così, con soli due vaccini approvati, oggi ci troviamo a dover accettare i tempi e i ritardi di Pfizer, che, con la sua produzione, fa fatica a star dietro alle tante richieste.

Sarebbe possibile produrre il vaccino in Italia? Certamente si. Ovviamente, nonostante l’Italia sia in testa nella produzione di farmaci in Europa, non lo si potrebbe produrre in qualunque azienda farmaceutica; ma basterebbe identificarne un paio sul territorio, e intavolare subito delle trattative con Moderna o Pfizer per ottenere la produzione conto terzi. Per una azienda giù attrezzata, i tempi per iniziare la produzione, una volta conclusi gli accordi, sarebbero relativamente brevi. 

E’ di ieri la notizia che la Fidia produrrà su licenza un vaccino al momento in sperimentazione, utilizzando gli stessi accordi che potrebbero portare alla produzione di quelli già approvati.

Perché allora nessuno ci ha pensato? Perché, una volta approvati i vaccini, non c’è stata una immediata azione dei governi per favorire gli accordi necessari alla produzione integrata su larga scala? Davvero pensiamo che di fronte ad una pandemia globale sia possibile lasciare la soluzione nelle mani di due o tre aziende? 

Non sarebbe meglio collaborare tutti per fermare rapidamente il virus e le sue mutazioni? Speriamo che, a differenza della meravigliosa canzone di Bob Dylan, non debba essere ancora una volta il vento a sussurrarci le risposte a queste domande. 

(“Fascia Viola” pubblicata oggi su Corriere del Veneto)