OLIO DI RICINO ED OLIO DI MOTORE A FORZA GIÙ IN GOLA: UN RICORDO DI LOJZE BRATUZ, VITTIMA SLOVENA DEL FASCISMO, LA CUI COLPA FU SOLO IL VOLER CANTARE NELLA SUA LINGUA

“Canta adesso, maestro!”

Gli aprirono a forza la bocca, e giù di olio. L’olio di ricino da solo non era abbastanza per Lojze. Gli squadristi decisero allora di mischiarlo con olio di motore. Scendeva nella gola, e bruciava, bruciava tantissimo.
Pensò probabilmente alla musica per sopportare il bruciore. La musica che insegnava ai bambini della sua città: Gorica, diventata Gorizia dopo il 1918. Ma Lojze Bratuz era nato sloveno, e sloveno sarebbe rimasto. E voleva che le migliaia di sloveni friuliani preservassero l’utilizzo della propria lingua dopo il passaggio dal dissolto Impero Austro-Ungarico al Regno d’Italia. Così insegnò i canti religiosi nelle scuole, nei seminari e nelle chiese esclusivamente in sloveno. Mischiava il canto religioso al canto popolare, una scelta non solo “stilistica” ma anche ideologica, dato che Lojze fece di tutto per coinvolgere nei suoi cori i bambini più sfortunati dei ceti popolari.

Poi arrivò il fascismo. Le lingue delle minoranze non erano più tollerate. Non bastava imporre l’italiano: andava eradicata ogni tradizione culturale e linguistica. E così il primo arresto per Lojze – che nel frattempo aveva dovuto cambiare nome in Luigi Bertossi – arrivò nel 1929. Attività anti-italiane, dissero. Non cambiò, tuttavia, la stima che la gente comune e anche il clero aveva nei confronti del maestro, all’epoca ventottenne. Continuò allora a girare il Friuli per trovare le voci più talentuose con il benestare del vescovo di Gorizia, Francesco Borgia Sedej. Lo fece fino al dicembre 1935.

Era il 27 dicembre, appunto, quando, appena uscito dalla messa, Lojze venne aggredito da un gruppo di fascisti. Prima arrivarono le botte, poi la miscela di olio di ricino e olio di motore. Quanto bruciava, mentre venne trasportato in ospedale. Continuò a bruciare per oltre un mese.