“Mi chiamo Alberto Paolini, ho ottantotto anni. Ne ho passati quarantadue nel manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma. Sono entrato che avevo quindici anni e ho rivisto la città nell’anno dei mondiali, il 1990. Ho subito per tre volte l’elettrochoc perché avevano scambiato i miei silenzi per una malattia. Ma io non parlavo perché stavo male”

Una storia che fa tremare il cuore, quella di Alberto Paolini, romano, oggi 88 anni, 42 dei quali trascorso rinchiuso nel manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma. Alberto era un bambino schivo, silenzioso, che aveva ricevuto un’educazione repressiva. Perde il padre a 5 anni, la madre non riesce a farsi carico dei figli e li manda in collegio, dividendoli in due strutture differenti, prima di morire anche lei pochi anni dopo il marito. I silenzi del bambino vengono interpretati come segno di qualche malattia mentale, ma per i medici il ragazzino è sano. Però è un solo al mondo, orfano, nessuno può occuparsi di lui, e allora lo mandano al Santa Maria della Pietà.

Alberto in quegli anni dolorosi trova solo il conforto della scrittura. In manicomio recupera qua e là pezzi di carta dove scrive i suoi pensieri, e li conserva in tasca, per non farsi scoprire, perché in manicomio non è consentito tenere oggetti personali. Poesie, racconti brevi, stati d’animo: un viaggio attraverso l’inferno che Alberto Paolini nel 2016 ha svelato nel libro “Avevo solo le mie tasche ( manoscritti dal manicomio)”, in cui ha raccontato la sua terribile storia.

Post di Filippo Rossi