Abbiamo incontrato lo scrittore savonese Roberto Centazzo: un incontro piacevole, con una persona che scrive molto e con grande passione, con un senso ironico che rende piacevole la lettura e contemporaneamente fa riflettere su temi sociali molto “caldi”.

Quando
e come si è accostato alla scrittura?

Io ho deciso a sette anni che
avrei fatto lo scrittore. Poi ho perseverato.
Non c’è una strada prestabilita per arrivare alla pubblicazione, specie
se, come è successo a me, non si hanno conoscenze nel settore. Ma io volevo
fare quello. E scrivevo romanzi che nessuno
avrebbe pubblicato, non sapendo neppure a chi spedirli. Poi un giorno ho
vinto un concorso letterario e il primo premio era la pubblicazione. Stamparono
trecento copie e a me sembrò di toccare il cielo con un dito. Mi accorsi ben
presto che la strada era ancora lunga ma passo dopo passo, con l’affetto dei
lettori, sono arrivato a un grosso editore, Tea del gruppo Gems, il secondo
gruppo editoriale italiano e ora sforno due romanzi l’anno. Bisogna crederci!

Lei è
uno scrittore molto prolifico: quando e come scrive? Di getto e poi rivedendo o
ragionando lucidamente su forma e contenuti?

Io scrivo tutti i giorni, almeno tre ore al giorno. Scrivere è come sollevare pesi, non puoi tirare su cento
chili e poi non fare nulla per un mese. Bisogna allenarsi quotidianamente. Io
mi considero un artigiano e il mio studio è come la bottega di un falegname. Ci
sono attrezzi del mestiere ovunque: libri aperti, racconti iniziati, scalette
per romanzi, testi di canzoni, spunti per favole… mi metto lì e vado avanti con
qualcuno dei tanti lavori cominciati. Non scrivo di getto né ragiono
lucidamente sui contenuti. Semplicemente piallo, stucco, carteggio finché un
lavoro non ha più imperfezioni ed è finito. Oltre ai romanzi ho scritto,
insieme a Felice Rossello, una commedia musicale con le musiche di Enrico
Santacatterina , che è portata in scena dalla compagnia teatrale san Fruttuoso di
Genova e i testi delle canzoni dell’album Mendicante, sempre di Enrico
Santacatterina.

Quali
sono le tematiche che affronta più sovente? I generi letterari a cui preferisce
dedicarsi?

Nei miei romanzi affronto temi di attualità, ma lo faccio attraverso il linguaggio della commedia, ossia
stemperando i toni. Leggerezza non significa superficialità, ma è un traguardo a cui ogni scrittore dovrebbe ambire. Rispettivamente nei cinque romanzi della serie Squadra speciale Minestrina in brodo (Squadra speciale Minestrina in brodo, Operazione Portofino, Operazione Sale e pepe, Mazzo e rubamazzo, L’ombra della perduta felicità), ho affrontato il tema dello sfruttamento dei migranti da parte della criminalità organizzata, del traffico internazionale di auto di lusso, delle truffe a danno degli anziani, delle speculazioni edilizie frutto
di accordi tra banche, politica, Chiesa e ‘ndrangheta, e in ultimo della sindrome del Burnout. Poi ho anche un’altra serie, quella delle storie di Cala
Marina, costituita per ora da due romanzi, Tutti i giorni è così e Bevande
incluse, in cui racconto storie ambientate nel 1967 in una piccola località immaginaria della Riviera ligure, Cala Marina. I protagonisti sono sette, vivono la stazione ferroviaria: il capostazione, il maresciallo della Polfer, la
barista, l’edicolante, il tassista e un pendolare. E poi lui, Adelmo, l’addetto
alle pulizie, che ha una particolarità: è muto, ma è lui che racconta le storie, attraverso la scrittura, ricostruendo quello che vede o sente e immaginando ciò che non accerta personalmente. Sono storie di vita, di treni, di viaggi, di persone che scompaiono. Poi mi piace scrivere favole, perché sono un animalista convinto e cerco di far comprendere che ogni animale ha diritto
ai suoi spazi e alla sua libertà.

Come
nasce la squadra speciale Minestrina in brodo?

La Squadra speciale Minestrina in
brodo nasce per caso, dovevo scrivere un racconto per un’antologia e non mi
veniva in mente nulla. Poi l’idea, attorno a un nucleo iniziale che s’intitolava Il nero fa paura, inteso come colore della pelle ma anche come attività lavorativa non in regola. E ho scritto trecento pagine, ma sempre con l’idea di tagliuzzarlo per ricavarne un racconto. Mi sono reso conto solo alla
fine che era un romanzo e che andava bene così. L’ho proposto all’editore, è
piaciuto, ha avuto complessivamente sette edizioni, compreso l’audiolibro.

Quali
sono state ad oggi le maggiori soddisfazioni della sua carriera di scrittore?

L’affetto del pubblico, non ci
sono premi o targhe che possano competere con i giudizi positivi dei lettori
che sono il riconoscimento più ambito, almeno per me.

Progetti
e sogni per il futuro?

Continuare a scrivere. Devo
finire due favole, due romanzi, una nuova commedia, i testi del nuovo album di Enrico Santacatterina.

L’ombra
della perduta felicità. Perché questo titolo ispirato a una celebre canzone?

Perché si adattava alla
perfezione alla storia narrata, ossia la vicenda di un poliziotto che ha perso
la gioia di vivere. Di quella che era una felicità abbagliante, accecante non è rimasta nei suoi occhi che l’ombra come se fosse sceso un velo di tristezza sul suo viso. Il verso è tratto dalla
canzone E se domani, portata al successo da Mina con il testo di Giorgio
Calabrese, un Maestro per chi, come me, scrive canzoni.

“L’ ombra della perdita felicità” è l’ ultimo romanzo pubblicato da questo scrittore, di cui consigliamo la lettura.

Ringraziamo Roberto Centazzo per la sua squisita disponibilità.