Viaggiar nell’Italia minore 

L’abbazia di Lucedio, sede di riti satanici?, di Luciana Benotto

“La vista di un impiccato, appeso al ramo di un albero che si intravede tra le nebbie della palude, non guasterebbe di certo al paesaggio”. Questa è l’impressione che uno storico inglese dell’inizio del Duecento ebbe, dopo aver visitato le terre dell’abbazia di Santa Maria di Lucedio. Effettivamente il complesso monastico sorgeva isolato tra paludi nebbiose circondate da fitti boschi di querce secolari, dove si aggiravano cervi, cinghiali e lupi.

 

Fu per volere di Ranieri di Monferrato che in quell’ heremus, nel 1123, venne fondata  da monaci provenienti dalla Borgogna, un’abbazia cistercense. Vista la sua solitaria ubicazione, il complesso era stato ideato come una fortezza attorno alla quale i frati, sfruttando i numerosi fontanili, si misero a coltivare il riso che, all’epoca, era ancora considerato una spezia. Ma quando compresero le sue proprietà nutritive, esso sostituì il grano caro e raro, e le risaie furono ampliate tramite la canalizzazione di numerosi corsi d’acqua e il dissodamento della brughiera. Grazie all’ottima organizzazione economica il monastero divenne una grangia così florida e ricca, che fece paura al papato.

Accadde infatti che, nel 1784, Papa Pio VI, preoccupato della potenza e dell’autonomia dell’abbazia, decise di sopprimerla accusando i frati di satanismo, eresia e pedofilia. Eliminando un’entità ritenuta troppo potente, la Chiesa ne avrebbe inoltre confiscato e incamerato i numerosi beni.

Tra le accuse ci fu addirittura quella legata alla costruzione della chiesa di Santa Maria, che era stata edificata invece che a nord, come era consuetudine, a sud del complesso, a disegnare una croce capovolta, inequivocabile segno del demonio. Relativamente alle accuse di satanismo si narra poi che una forza maligna, sprigionatasi dal vicino cimitero di Darola, si era impossessata degli abati e dei frati, convertendoli al male, facendogli celebrare messe nere durante le quali abusavano di novizie e torturavano ed uccidevano degli innocenti.

Ma un esorcista riuscì ad imprigionare quella forza demoniaca nelle cripte poste sotto la chiesa, ancora oggi murate per impedirne la fuga, e a guardia, furono messi inquietanti custodi oltremondani, degli abati mummificati, seduti su dei troni disposti in circolo. 

Da queste cripte sotterranee si dipartiva pure un cunicolo che portava fuori dalle mura del convento, cunicolo che, a quanto pare, oggi giunge nientemeno che negli scantinati delle vecchie scuole elementari. Ma i misteri di questo luogo non finiscono qui, perché nella Sala Capitolare, dove avvenivano le presunte sevizie, si trova la cosiddetta “colonna che piange”, le cui lacrime, furono un’ulteriore prova per Papa Pio VI della colpa dei monaci. Ma la spiegazione del fenomeno è più semplice: è la porosità della colonna stessa che pescando l’acqua dal terreno, la rilascia poi sotto forma di gocce.

Chissà se la misteriosa atmosfera che si respira tra queste vecchie mura non abbia ispirato Umberto Eco, nato nella non lontana Alessandria, per la stesura de “Il Nome della Rosa”.