Viaggiava continuamente, di Federica Vanossi

Viaggiava continuamente, preparando con precisione e in calligrafia uno schema che gli sarebbe stato utile nel corso della giornata.

Parigi, Vienna, Anversa e Mosca in aereo e partendo dall’areoporto della città in cui viveva, senza alzarsi dalla scrivania.

“Papà-le chiedeva la figlia-domani potremmo andare a fare una passeggiata”

“No, parto alle sei e quindici e arrivo a Vienna alle nove. Ho il  tempo per una breve prima colazione da Demel e poi corro a visitare il Palazzo Imperiale e il Leopold Museum, se l’orario me lo comcede, anche il Prater e poi si vedrà. Il volo serale è alle venti e dieci: credo di poter salire le scale di casa dopo le undici”

Sua figlia non rispondeva, sorrideva e stava al gioco. La sera, dopo una giornata di lavoro, si sarebbe seduta accanto al padre e avrebbe ascoltato rapita il racconto di un viaggio immaginato soltanto, ma dietro il quale c’erano giorni e giorni di studio e di sogni.

“Avrei voluto donarti una fetta di torta, quella al cioccolato con la marmellata di albicocche all’interno, che si sposa con la crema di nocciole, però sono goloso e non ho resistito. Un pezzettino dopo l’altro e mi sono trovato tra le mani solo la carta. Annusa, puoi sentirne ancora l’odore, non le ho lavate perché tu potessi godere del profumo”

“Non importa, papà, mi porterai il cioccolato belga giovedì, quando volerai a Bruxelles”.

Infine lo accompagnava a letto, claudicante da anni e con la testa che pensava a nuove destinazioni e rifiutava di realizzare la forzata permanenza tra le mura di casa.

Non apriva le persiane, diceva che preferiva che persino le condizioni atmosferiche fossero una sorpresa e mai un ostacolo; arieggiare non era indispensabile, e soprattutto osservare un paesaggio che non desiderava riconoscere, perché Vienna era ben oltre il balcone di casa e Mosca non ha le Alpi e neppure Anversa.

Viaggiò anche l’ultima sera, così mi ha raccontato la figlia, sottolineando il fatto che non aveva trovato il solito programma che lasciava sul tavolo del suo studio. Forse non aveva previsto la nuova destinazione, oppure sì. 

Olimpia sorride commossa e mi dice:

“Non ritenermi pazza, ma anche quel giorno ho annusato le sue mani: profumavano di baclavà”.

“Amica mia, questa volta è andato ad Atene, ne sono certa”