Ho aspettato con un entusiasmo incontenibile questo momento, di Federica Vanossi

Ho aspettato con un entusiasmo incontenibile questo momento, con la stessa euforia di un bimbo che riceve un dono a lungo desiderato. Domani si festeggiano i duecento anni dall’ indipendenza greca, che con la Spagna, ma una determinazione ed un carattere unico al mondo, si liberò con gran coraggio e soprattutto con l’ unione di un popolo minuto, ma gigante al di sopra di molti, dell’ oppressione ottomana. Lo si chiami filellenismo, oppure filotimia, o semplicemente una genetica che si è unita senza difficoltà alcuna con l’ altra parte di me, quella italiana, quella lombarda, per onorare papà.

Mi gonfio di orgoglio e decoro un cuore ferito troppo a lungo, di certezze imparate tra la gente, o nella serena solitudine di una baia nascosta, dopo aver raggiunto la cima del monte Imetto e aver cantato a squarciagola l’ inno greco. Sono parole che parlano di libertà, non di schiavitù e se stono, non fateci caso. Io ci leggo armonia, io ci leggo la voglia di imparare la stessa lezione che viene impartita ai figli fin dalla tenera età. Ελεύθερια η Θάνατος, libertà o morte, perché i greci non si sono inginocchiati, mai. Non hanno paura, tutti, nessuno escluso, vivono degli stessi ideali.

Non si sono arresi al violento vicino turco e, per non riassumere un manuale di storia che conosco a memoria, salto a tempi più recenti, quando non hanno permesso che la crisi economica degli ultimi anni li soffocasse. Uniti, perché il popolo greco lo è di natura, pieno di amore e rispetto per la Patria, sì lo riscrivo in maiuscolo, con gli occhi che brillano ad ogni tramonto del sole dietro l’ Acropoli, orgogliosi e obesi di dignità, tanta da poterne donare a mani piene.

È un popolo generoso, un popolo impavido e certo di radici che continuano a guidare quella voglia di lottare, quasi in modo sfrontato, il vicino che gioca sporco e cerca di buttare sabbia sul viso pulito di ogni greco. Insieme, dicono, tutti insieme e quando racconto che qui non ne comprendono il significato, mi osservano straniti e si chiedono come io possa essere tanto greca, arrogante nella sicurezza delle parole che sgorgano senza freni, se parlo di quel lembo di terra che ha scritto per tutti.

Ho dimenticato la bandiera a Glyfada, però mia figlia la dipingerà per me su di un telo bianco, in modo che io possa lasciarla sventolare da un balcone, magari quello meno protetto dai dettagli liberty dell’ edificio, in modo che il vento, quello che domani fingerò sia il Melteni, non ne rallenti la danza. Mi sentiranno tutti, perché domani e poi tutti i giorni, rinascerò anch’io.

Domani inizia una nuova vita, domani onorerò la mia terra ellenica, ripetendo a testa alta le parole che profumano di poesia, che dalle prime note ti fanno alzare gli occhi al cielo e ringraziare i tuoi genitori, i miei che non si sono arresi, lasciandoci in eredità un passaporto che scrive accanto al nome , come una medaglia appuntata al petto , filotimo. Ora so cosa significa, ora lo sento, ora lo vivo.

Buon anniversario, Ellada mas, e che l’ azzurro di ogni mattina non sbiadisca dinnanzi all’ indifferenza di chi ostenta dubbi.Guardatemi bene: sono una di loro. Le piccole italides, le piccole italiane sono cresciute e, anche se nella mano stringono forte il tricolore che il padre ha difeso caparbiamente, domani faranno volare gli aquiloni, domani sventoleranno quattro bandiere fino a tarda sera, osservando il sorriso fiero di mamma che ci vedrà e si unirà al coro.