L’EREMITA (IL NOVE) di Valeria Bianchi Mian

La Casa dei Tarocchi e altri miei scritti su Oubliette Magazine.

L’EREMITA (IL NOVE)

“Sulla strada verso Dove/ sul sentiero oltre Quando/ c’è un vecchietto solitario/ un anziano pellegrino;/ da ieri va camminando/ e per sempre camminerà/ dentro la carta magica./ È spirito del passato/ che passo dopo trapasso/ (ri)concepisce il futuro./ Nove leghe in direzione/ del nuovo, lasciare andare/ il noto per sconosciuto./ Son nove mesi dall’alba/ alla notte, passa Zenit/ (ancora tre poi ritorna)./ Eremo errante ha viaggiato/ per errori e digressioni./ Rimescola vita data/ nel calderone del giorno/ fa del tramonto un bel sogno/ musica di isole e lande/ nel silenzio del tuo sonno.”

L’Eremita te lo racconto così, con una poesia che mi sorge spontanea come un soffio di vento sulla via del Vecchio Saggio.

L’archetipo del Senex ci rimanda all’arconte Saturno, nel lento scorrere del Tempo, nel riavvolgersi dei ricordi in matassa esistenziale.

Non c’è Senex senza Puer, se vogliamo trovare l’equilibrio: il nostro Eremita e il Matto si incontreranno ancora, là e allora, così come furono uniti nell’infanzia, ma con un barlume di coscienza in più, con la consapevolezza aumentata e approfondita dal viaggio. Tutti gli arcani danzeranno insieme alla fine del mazzo, quando finalmente gireremo la carta numero ventidue: il Mondo (in Anima Mundi).

Senex-et-Puer sarà la nostra possibilità creativa e ricreativa: riconosceremo in noi l’arte dell’alchimista che è gioco di fanciulli e al contempo saggezza senza timori; saremo fuori dalla notte ma sempre disponibili a partire per una nuova ricerca sulla strada del Sé. Perché l’Eremita può socializzare per un attimo ma poi c’è la via che lo chiama, c’è l’orizzonte ad attenderlo, c’è un nuovo significato da andare a cercare, il senso da cogliere.

L’Eremita potrebbe viaggiare senza mai muoversi dalla propria clausura: nell’introversione della libido, l’energia vitale ha modo di estrapolare la memoria dal sogno.

“E nella carta che segue mi ritrovo nei panni d’un vecchio monaco, segregato da anni nella sua cella, topo di biblioteca che perlustra a lume di lanterna una sapienza dimenticata tra le note a piè di pagina e i rimandi agli indici analitici” scrive Italo Calvino. E ancora: “I pittori rappresentano l’eremita come uno studioso che consulta trattati all’aria aperta, seduto all’imboccatura d’una grotta. Poco più in là è accucciato un leone, domestico, tranquillo” – è San Girolamo. Nell’iconografia del caso, parrebbe che la carta della Forza sia venuta anzitempo a visitare il solitario erudito impegnato nella riflessione.

“Tra le suppellettili dell’eremita c’è anche un teschio” scrive Calvino: “la parola scritta tiene sempre presente la cancellatura della persona che ha scritto o di quella che leggerà.”

L’Eremita è disposto ad annullarsi dentro la parola; sfuma nelle frasi, si nasconde. Non è il famoso autore di massime, né la star dell’ultimo romanzo di grido. Egli è più umile dell’opera che va creando, è un Io capace di farsi da parte.

“Ma si noti” suggerisce ancora l’autore “che non siamo nel deserto, nella giungla, nell’isola di Robinson (Crusoe): la città è lì a due passi. I quadri degli eremiti, quasi sempre, hanno una città sullo sfondo” perché “la forza dell’eremita si misura non da quanto lontano è andato a stare, ma dalla poca distanza che gli basta per staccarsi dalla città, senza mai perderla di vista.”

Prova a spegnere il cellulare per un giorno. Prova a prendere una pausa mentre fuori tutto corre e danza. Prova a non rispondere immediatamente a tutte le richieste, i messaggi, le domande, le proposte, gli stimoli che provengono dall’esterno. Prova a non fare, prova a dire di no, prova a fermarti mentre tutto scorre. Sarai in compagnia dell’Eremita mentre berrai e mangerai alla tavola della solitudine. Non è un godimento scontato, non è un piacere del volgo: l’arte dell’Eremita è un dono speciale.

Te lo narro senza sosta, l’Eremita, così come il vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge è costretto a confessare a tutti il grande crimine dell’aver ucciso un Albatros e ancora deve pagare lo scotto del suo gesto.

“Che Dio ti salvi, Vecchio Marinaio,

dai dèmoni che tanto ti tormentano!

Perché guardi così?”  “Con la balestra

quell’albatro ho trafitto ed ammazzato.”

Certe volte l’asceta può elevarsi nel silenzio, se accetta l’idea di non poter mai possedere la pace. Accogliere il peso del momento, l’inquietudine gridata dalle voci della colpa, è mettere in relazione la carta dell’Eremita con l’Appeso (XII), che è uguale al crocefisso sul muro dell’anacoreta, ed è il Cristo che incontreremo più in là, dopo la Ruota (X) e la Forza (XI). Quest’ultima ci rimanda al rapporto con il leone nei ritratti del teologo San Girolamo.

Certe volte l’Eremita porta il peso della coscienza ma, se tu lo riconosci, lo puoi alleggerire: regalagli una stanza nella tua caverna psichica, gira la Lama e ascolta la sua voce segreta.

L’Eremita te lo dipingo nei panni del crudele Saturno ma te lo svelo pentito per aver divorato i propri figli; puoi scoprirlo vagante tra le nebbie e le nevi perenni – primavera estate autunno inverno – avvolto nel mantello del clochard che dorme all’addiaccio e segna il ritmo con la sua clessidra, e conta i passi per espiare il Tempo nei secoli dei secoli. Il suo volto rugoso proviene dalle corti del Rinascimento ma ha abbandonato ogni agio, ha conosciuto le peggiori taverne giocando ai dadi con il Matto; ha perso tutto ma tutto ritroverà.

L’Eremita abita le carte dei Tarocchi dipinte dagli artisti più dotati e mostra uno sguardo sapiente, un sorriso che dichiara la mera verità: nell’assenza di rumore c’è tanta fatica e soltanto un briciolo di felicità ma chi si accontenta, si sa, gode.

L’Eremita cura la coscienza, accende una luce nel buio, mantiene acceso il lume a olio come una Vergine Saggia, si appoggia chilometro dopo chilometro al suo bastone, sosta nelle spelonche in fondo agli orridi della psiche, si rintana, conosce antri e meandri del pensiero e del sentimento: si fa farmaco prezioso, salute che si rigenera da sé.

L’Eremita è un Trionfo che nasconde lo Spazio del viaggio dentro il concetto di Tempo.

Il figlio unico

Da piccola mi faceva paura l’idea della solitudine; figlia unica, non potevo condividere le mie gioie e i dolori con altri fratelli o sorelle. Ho conosciuto molti fratelli e sorelle che si sentivano soli pur essendo nati in famiglie numerose e alla fine ho decisamente rivisto la questione. Negli anni della giovinezza la mia vita si è riempita di amici, anime affini che fanno risuonare la mia stessa anima. Ho amato gli altri ma ho anche saputo lasciar andare; ho accolto le separazioni, ho apprezzato la mia solitudine. In poche parole: ho conservato l’Eremita tra le carte del mazzo, estraendone il senso quando è stato necessario ritornare a me stessa.

Valeria Bianchi Mian

Se vuoi leggere il resto: https://oubliettemagazine.com/…/la-casa-dei-tarocchi-9…/

Fotografia da:

https://www.repubblica.it/…/solitudine_e_silenzio_i…/1/