Nonostante le temperature ancora piuttosto basse di questi giorni, è evidente che c’è in giro aria di primavera e di rinascita. Il governo ha deciso di alleggerire le restrizioni anti-pandemia e di dare inizio alle riaperture. Le novità sono tante: si potrà spostarsi tra regioni arancioni o rosse, a fronte di una sorta di passaporto che certifichi di essere stati vaccinati, di aver fatto un tampone nelle ultime 48 ore o di essere guariti da COVID-19; nelle regioni in fascia gialla si potrà pranzare e cenare nei ristoranti che hanno tavoli all’aperto, anche se rimarrà il coprifuoco alle 22:00, e si tornerà in palestra; in tutte le regioni saranno consentiti gli spettacoli, anche se solo all’aperto nelle regioni in fascia arancione e rossa. E la scuola tornerà in presenza un po’ ovunque, con limitazioni solo in zona rossa. E queste prime libertà, che partiranno già il 26 aprile, diventeranno gradualmente più estese col passare delle settimane.
Ripartenza graduale e basata sui dati scientifici: sembra essere questa la buona strada intrapresa dal governo. Sappiamo infatti che il rischio di contagio all’aperto è irrisorio, e che chi è immune, per vaccinazione o malattia recente, difficilmente potrà trasmettere il virus. Ci si fida dunque della scienza e dei vaccini: fiducia quanto mai necessaria in questo momento per far ripartire il paese e per convincere gli indecisi a vaccinarsi.
Perché queste riaperture non siano un boomerang e non ci facciano ripiombare nell’emergenza sanitaria servono però tre ingredienti: gradualità, controlli e responsabilità.
Se la gradualità è già evidente nelle mosse del governo, c’è da augurarsi che, a differenza di quanto abbiamo visto in autunno, questa volta il sistema di controllo funzioni. Se la data del 26 aprile venisse interpretata come un “liberi tutti”, se tornassero gli assembramenti davanti ai locali e nelle strade del centro, se si smettesse di usare la mascherina e di rispettare il distanziamento, queste riaperture durerebbero poche settimane e ci farebbero sprofondare in una crisi insostenibile. Perché le riaperture siano definitive, serve che lo stato controlli e che i singoli cittadini siano responsabili. La partita ora è davvero nelle nostre mani, in quelle di ognuno di noi. Mai come nelle prossime settimane sarà la nostra responsabilità individuale a fare la differenza. E la nostra responsabilità passa prima di tutto attraverso l’adesione alla campagna vaccinale.
I recenti problemi legati ai vaccini certamente non ci stanno aiutando. Nei prossimi giorni sapremo se anche il vaccino di Johnson&Johnson sarà destinato agli over 60 o se, invece, le analisi indicheranno che anche nei giovani non c’è un rischio aumentato di trombosi. Se anche si presentasse lo scenario peggiore, con tutti i vaccini basati su adenovirus destinati solo alla popolazione con più di 60 anni – perché assolutamente sicuri in questa fascia di età – la campagna dovrà comunque proseguire a ritmo serrato, concentrando i nostri sforzi proprio sulla popolazione più anziana e quindi più fragile. Nei prossimi mesi arriveranno abbondanti dosi di Pfizer, che potranno essere destinate ai più giovani, per completare le vaccinazioni.
In questo momento è necessario però che nessuno si tiri indietro e rifiuti il vaccino. Siamo infatti chiamati a proteggere non solo noi stessi ma tutta la nostra comunità. Nelle settimane che verranno, riconquisteremo gradualmente la nostra libertà. Ma mai come ora è necessario ricordare che la libertà senza responsabilità è il trionfo del caos.

(“Fascia Viola” pubblicata oggi su Corriere del Veneto)

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