Obiettivi verso un nuovo umanesimo (e neo-popolari, secondo me) di Carlo Baviera

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Alessandria:In data 16 marzo sul sito AgendaDomani Alberto Mattioli (già amministratore provinciale a Milano) scriveva a proposito della solita questione della presenza politica di quanti hanno una formazione sociale cattolica: “seppure minoritari non è affatto detto che poche determinate persone coraggiosamente ispirate da spirito profetico e competenti, possano catturare interesse, centrando le aspettative della società. Riuscendo magari a tradurre in progetto politico il magistero di Papa Francesco, con particolare riferimento alla attualità dell’enciclica Laudato Si’. Centralità della persona (che è il diritto come diceva Antonio Rosmini), del lavoro (tanto e stabile per i giovani) e dell’ambiente (sviluppo sostenibile) in un quadro europeo solidale. L’uomo e la terra vanno curati, non posseduti. L’economia civile è la nuova via per riscrivere la nostra storia verso un nuovo umanesimo. Questi sono i pilastri per proposte innovative più mirate agli obiettivi da conseguire che non a una storia da rivendicare”.

E aggiungeva: “Padre Francesco Occhetta recentemente ha spiegato che il “centro” non è un luogo, ma una cultura e metodo. Lo spazio politico potenziale è enorme ma occorre la freschezza di un progetto popolare ben focalizzato e seminato. È la chiarezza delle finalità che consente di superare gli steccati tra credenti e non credenti. Occorre essere più sale e pepe, e questo vale sia per chi vuole rinnovare l’esistente, sia per chi voglia audacemente proporre novità”.

Punti di vista, ovviamente. E dal mio è proprio, quello suindicato lo strumento, il movimento politico, che si dovrebbe mettere in campo! Solo che (a parte i consensi che comunque contano e servono) chi è su queste posizioni, se sta nel PD rischia di essere una corrente di ridotte dimensioni e deve mediare accettando soluzioni – soprattutto in materia etica – che lo collocano nella storia socialista (vedi il PSE in Europa). Anche se è interessante il commento dell’on. Gianfranco Rotondi (democristiano in Forza Italia)  all’elezione di Letta a Segretario: “C’è una lettura tutta democristiana della elezione di Letta, e l’ha data ‘ante litteram’ un dc di rito andreottiano come Vito Bonsignore, lo scorso ottobre a Saint Vincent, al convegno della fondazione ‘Democrazia Cristiana’. Cito testualmente Bonsignore: ‘il Pd non è la ditta ex pds, ma la sinistra dc che lo ha preso in mano al punto da permettersi il lusso di lasciarne la gestione a Zingaretti’. E ancora: “smettiamola di parlare di comunisti, il Pd è il partito della sinistra dc che ha vinto la sua scommessa; una Dc ancora fortissima si divise nel 1995, da una parte i moderati, dall‘altra la sinistra che scelse l’Ulivo, e che ha egemonizzato il Pd esprimendo quattro premier e un presidente della Repubblica”. “Hanno vinto loro”, concluse Bonsignore, quasi a concludere un congresso postumo. E sissignori, concediamola questa vittoria, e profittiamo che a riscuoterla è un tipo gentile come Enrico, che non ci farà pesare la sconfitta. Che è tutta dei moderati democristiani”.

Coloro che si collocano nelle tante iniziative neo-popolari corrono il rischio, al di là delle dichiarazioni e delle intenzioni, di presentare un partito cattolico e identitario, oltre a snobbare quasi l’importanza delle coalizioni ed a collocarsi in Europa in schemi moderati (quale è l’attuale PPE). Non parliamo poi dei tanti scheletri ex democristiani che ronzano attorno a quei gruppi. Renzi è qualcosa di parzialmente estraneo a quanto prospettato nei paragrafi iniziali, perchè il suo, almeno per ora, è ancora un gruppo leaderistico e che pare privilegiare il “nuovismo” dove la solidarietà è soggetta alla libertà di impresa e al sistema tecnicistico/finanziario degli ultimi lustri. E Calenda rappresenta una storia diversa.

Ammetto che non mi è dispiaciuto il discorso di Letta (al momento della sua elezione), ma per quanto riguarda la legge elettorale resto un incallito proporzionalista (pur con i correttivi utili a tener conto della governabilità) e sono perplesso sulle soluzioni che potrebbero venire per contrastare il cambio di casacche: vedremo! Penso che serva anche più radicalità per la difesa delle tutele e del lavoro per tutti, e un pizzico di <rosybindismo> (mi si perdoni il neologismo) per restare inclinati verso il progressismo sociale e civile anziché essere tentati dalle parole d’ordine sia delle èlite che della concorrenza economica. Invece apprezzo il rilancio delle coalizioni, che sottintende pluralismo; la volontà di cambiare l’Europa per “fare quelle scelte che migliorino la democrazia europea” e “con al centro “la solidarietà il lavoro ed il pilastro sociale”; il tema delle donne e il partito dei giovani, l’anima e il cacciavite (anche se l’anima non è ancora a tutti chiara!).

Due temi voglio riprendere, perché li condivido. La partecipazione. Che significa non solo aprire il partito e farlo dibattere ai livelli periferici, ma anche progettare nuovi istituti di reale partecipazione dei cittadini, e favorire i tentativi di formazione politica e civica. Altrimenti il voto ai sedicenni rischia di essere un boomerang. Il secondo tema è lo Ius soli / ius culturae.  Già due o tre anni fa, di fronte al rinvio della legge, Delrio affermava: “il dietrofront è «un atto di paura grave»; si tratta di «una legge di civiltà e diritti. Non dobbiamo farci dominare dalla paura. Non ci può venire nessun male nel riconoscere i diritti a questi ragazzi che sono di fatto già italiani, parlano il nostro dialetto, giocano con i nostri figli. Devono essere riconosciuti per quello che sono: persone. Uno sguardo diverso verso l’immigrazione significa anche riconoscere i loro diritti»”. Ed lo stesso Enrico Letta aggiungeva: “ius soli significa lavorare perché l’integrazione funzioni: non si può rifiutare la cittadinanza a chi in questo Paese è cresciuto, è andato a scuola. Scambiare questo con la gestione degli sbarchi significa fare un’enorme confusione: una forte contraddizione comunicativa da combattere”. Stessi concetti ribaditi dall’on. Patriarca e da Pezzotta “Lo ius soli non è una concessione ma un diritto che la Repubblica ha il dovere di riconoscere. Chi nasce in Italia ha il diritto di essere italiano. Cedere alla paura significa avvalorare il peggio e rendersi responsabili di una ingiustizia”. Anche Papa Francesco di ritorno dalla Colombia (settembre 2017) rispondendo alla conferenza stampa sull’aereo sottolineava che: “un governo deve gestire questo problema con la virtù propria del governante: la prudenza. Cosa significa? Primo: quanti posti ho? Secondo: non solo riceverli, ma integrarli”. E integrare significa riconoscerne i diritti.

Tornando all’inizio di questo scritto, l’ultimo moto di ottimismo è venuto, per i cattolici democratici e popolari, con l’elezione di Papa Francesco: i suoi gesti, le sue parole, lo stile spiazzante, il poco rispetto del cerimoniale lo hanno reso simpatico, lo hanno fatto considerare “uno del popolo”, lo hanno posto come rappresentante di una Chiesa finalmente svecchiata e libera da vincoli protocollari inutili e posta al servizio dei poveri e della pace; e riferimento morale per una politica nuova.

Poco alla volta, dopo il primo impatto apprezzato unanimemente, si sono manifestati disagi, insofferenze, persino opposizioni a sue prese di posizione, o a modifiche di prassi consolidate riguardo all’approccio ai sacramenti o all’atteggiamento da tenere riguardo a idee e posizioni ritenute “errate”.

Mentre il cosiddetto <mondo cattolico> più sensibile al sociale, i fedeli <adulti>, e il mondo laico non nascondevano la loro simpatia e sintonia con tante affermazioni e scelte di Papa Francesco. Molte pagine delle Esortazioni Apostoliche “Evangelii Gaudium” e  “Amoris Laetitia”, le encicliche “Laudato sì” e “Fratelli tutti” son state accolte con entusiasmo; così come ogni intervento riguardante il lavoro e la sua dignità, l’indispensabilità che ogni famiglia abbia una casa (e la terra per chi è agricoltore), i diritti degli esuli, dei rifugiati, dei migranti. Solo il futuro ci dirà se tutto ciò servirà ad accomunare in uno stesso campo, se non in uno stesso movimento politico, chi è interessato a obiettivi per un nuovo umanesimo.