LA FIGLIA DI CIRCE, di Valeria Bianchi Mian
LA FIGLIA DI CIRCE
All’epoca di Ulisse l’uomo aveva una necessità: quella di domare la natura selvaggia, per cui l’immagine della trasformazione da essere umano a bestia era decisamente una regressione agli istinti, al mondo dell’inconscio, in un momento di sviluppo culturale fuori dall’abbraccio di Madre Natura. La Neocorteccia è una conquista evolutiva.
Oggi che abbiamo abbondantemente razziato la terra e ci siamo fatti largo come bulldozer sui territori delle altre specie viventi costruendo il nostro illimitato e pretenzioso habitat… l’arte di Circe sarebbe invece un dono miracoloso e utilissimo, se lo guardassimo come momento simbolico di empatia con l’altro che è con noi: l’anima animale.
Ma lasciamo da parte Circe e ipotizziamo che sia Cassifone, figlia di Circe e Ulisse, ad ereditare dalla mamma la capacità di mutare l’umano in animale. Avrà ucciso veramente il fratello-sposo Telemaco e il padre Ulisse? E’ un gioco poetico, perdonatemelo. Ipotizziamo per un attimo…
Ho sposato Telemaco, mio fratello
ma non uccisi né lui né il vecchio Ulisse
nonostante qualcuno di me poi disse
che porto sulle spalle magre un fardello
di violenza da rispedire al mittente
di rea vendetta dal passato al presente.
Apro la finestra e osservo il vasto prato:
son io la sola padrona del casale
nel quale vivo con più d’un animale.
In effetti, dalla mamma ho ereditato
l’arte di trasmutare gli uomini in fiere
cogliendo degli stessi le ombre vere.
Non uccido maiali e nemmeno polli
mi nutro di uova e di verdure fresche.
Lungo il sentiero semino le mie esche
per catturare cacciatori sui colli
e fare di loro elefanti, oche, buoi:
la fauna mista di tutti i paesaggi tuoi.
Perché io questo tuo mondo lo saprei
ripopolare
d’animali già estinti e da cortile.
Avrei qualcosa di vitale da fare …
Favolesvelte, Golem Edizioni 2016
Fotografia di Giulia Caira per Favolesvelte