QUELLA FOGLIA, Vittorio Zingone

QUELLA FOGLIA   

Quella foglia che inseguii con lo sguardo,   

Assiso come re su crinale verde 

Di calabra collina, la ricordo ancora;    

Turbino’, nuotando nell’aria novembrina  

Dalla quercia partendo come un bolide,   

Per giungere al fatale cimitero  

Oltre il colle opposto a quel da cui veniva.   

Memoro il vorticoso mulinare delle nuvole,   

L’addensarsi e dissolversi frenetico   

Di minacciosi nembi su nel cielo;   

Forse con essi giocava il vento  

Un gioco suo mortale.   

Nel primo pomeriggio  

Fu la terra preda delle tenebre,   

Risuonaron poi i nudi rami   

Ingenerando in me mortali brividi;  

Torme di passeri angosciati cipiavano  

E cercavano, tra le nude siepi, improbabili ripari.   

Il lampo segno’ l’inizio della guerra;   

Il tuono squasso’ la densa tenebra   

Che con infinito astio l’azzurro divorava;   

Solo allor col gregge corsi  

Verso la piu’ sicura mia magione.   

Imprendeva a scrosciar la grandine d’attorno;  

Prima qualche chicco qua e la’,   

Poi un infernal frastuono tra le fronde  

D’ulivi e querce centenarie;   

Infine s’abbatte’ come gragnuola di robusti ciottoli,   

Sul capo inerme, sui crescenti grani, sulle vie;   

Il gregge belava disperato  

E correva verso casa a tutte zampe…  

Memoro ancora le scarpe rotte in sulla punta,   

I talloni fuori dalle calze di robusta lana,   

Lo sdrucito berretto sui capelli,   

La giacca che dai gomiti rideva a crepapelle…   

Avvertivo il vento fischiar contro le orecchie,  

Tempestarle di grandine e di pioggia;  

Vedevo rotolare giu’ per le vicine Serre   

Quale una botte immane, viva, nera,  

Veniva ratta ratta verso valle  

Rischiarata da folgori infinite,   

Squassata da tuoni crepitanti,   

Tormentata da venti impetuosi…   

M’avvertivo piccino, pianger dentro l’anima;  

Nel medesimo tempo combattevo   

Contro lo scatenarsi irrazional degli elementi… 

Quei giorni limpidi al mattino  

Con aure fresche su ali sue divine;  

Quel sole splendente che scendeva  

Fin nell’anima rapita;  e poi, d’un tratto,   

Si scatenava il violento maestrale;  

Andava a scovare nubi nel Tirreno  

E le ammassava fra la terra e il cielo,  

Oscurando l’azzurro, assassinando il sole,  

Generando pioggia torrenziale, rovinosa grandine   

Nell’arco d’una manciata di perigliose ore…    

Io ammiravo e temevo, pastorello della valle, 

Gli elementi turbinosi; e, di sul lungo  crinale di colline,  

Nella Calabria luminosa o tragica   

Secondo il prevalere di tenebra o di luce,  

Anche col sole fisso a mezzogiorno,  di fronte a Mavigliano, in quel di Montalto Uffugo, 

Mio natio paese, dolcissima mia culla…