Sera di febbraio, di Umberto Saba, recensione di Elvio Bombonato

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Spunta la luna.
Nel viale è ancora
giorno, una sera che rapida cala.
Indifferente gioventù s’allaccia;
sbanda a povere mète.
Ed è il pensiero
della morte che, infine, aiuta vivere.
UMBERTO SABA (1942)

La poesia consta di 5 versi endecasillabi sciolti, il 1° e il 4° disposti spezzati a scalino, una sola quasi rima-assonanza “cala/allaccia. Domina la paratassi: 7 proposizioni. Il titolo è un indicatore temporale: “Sera”, ripreso nel 2° verso, “febbraio”: l’inverno. E’ concentrata: dedurre il non detto, mediante le inferenze.

Siamo in città (“viale”), Trieste. “Povere mète”: il locale verso cui si dirigono i giovani, una latteria. “ Povere”: ambiguità semantica, allude alla modestia del locale (del quartiere), e alla condizione dei giovani popolani. “Gioventù” (sineddoche) potrebbe indicare una coppia di giovani oppure un gruppo di coppie.

“S’allaccia”, sono fidanzati, camminano tenendosi il braccio ciascuno intorno al fianco dell’altra. “Indifferente”: apatica, rassegnata, priva di entusiasmo (Altieri Biagi), non guarda il paesaggio lunare, vive in modo inconsapevole.

“Sbanda” verbo intenso (lo scarto lessicale dal binario della norma): il vento; non ha certezze (“indifferente”); si disperde (in ossimoro con “mete”). Effetto sorpresa (aprosdòketon) dell’epigrafe/aforisma gnomico (sentenza), che Saba rivolge a sé stesso. L’enjambement forte mette in rilevo “il pensiero della morte”. Calco da Baudelaire (“E’la morte che consola e che fa vivere”), ripreso nella successiva lirica “Ulisse”: “E della vita il doloroso amore”, nuovamente con ossimoro.