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Mahabharata: la grande epica indiana a fumetti.

3 Novembre 2019 · by Lorenzo Barberis · in Letteratura e fumetto

Il Mahabharata, capolavoro della letteratura indiana, è il più vasto poema epico della letteratura mondiale, con le sue oltre centomila strofe stratificatesi in otto secoli di rielaborazione, dal quarto secolo avanti Cristo al quarto secolo dopo Cristo (per capirci, la sua evoluzione in pratica marcia in parallelo col sorgere, evolversi in impero e declinare della Res publica romana, 509 a.C-476 d.C.). Per dare invece una idea della sua lunghezza, parliamo di un testo lungo quindici volte la Bibbia. Il titolo significa “La grande storia dei discendenti di Bharata” e narra per l’appunto una grande guerra tra i due rami della discendenza del mitico Re di schiatta divina.

Il suo adattamento a fumetti (qui la notizia su Lo Spazio Bianco) è quindi un impresa “da far tremar le vene e i polsi”, per citare il sommo poeta: e in qualche modo, come vedremo, possiamo ritenerla una tappa (certo, una delle tante) della maturazione del medium fumettistico, e in particolare di una delle sue forme specifiche oggi sempre più centrale, il “romanzo a fumetti” o “graphic novel”. Come annota Andrea Tosti nel suo monumentale studio sul Graphic Novel stesso, gli adattamenti a fumetto, non in modo aproblematico, hanno costituito una tappa della formazione di questo nuovo concetto, anche solo perché il termine stesso “romanzo” proviene originariamente dalla letteratura scritta.

Solitamente, nell’età delle origini dell’adattamento fumettistico, quella per certi versi famigerata deiClassics Illustrated“, la scelta dell’adattamento ricadeva primariamente su romanzi di genere avventuroso – o interpretabili come tali in una lettura “ingenua”: un caso paradigmatico è quello di Moby Dick. Con la sempre maggiore consapevolezza della maturità del medium, agli adattamenti “riduzionistici” e “ancillari” (il fumetto come “mediazione” di un’opera “più complessa” per un pubblico incolto) si sono sostituiti adattamenti pienamente “autoriali”, sia scegliendo nuove letture di opere lette precedentemente in modo ingenuo (il caso di Moby Dick e della sua rilettura da parte di Sienkiewicz è paradigmatico), sia adattando opere letterarie non strettamente avventurose (un caso significativo è la rilettura di Auster da parte di Mazzucchelli).

Questo caso segna una tappa importante di questo percorso, con l’adattamento di un’opera difficile da adattare, lontana dal canone occidentale e fondante di quello indiano (per paradosso, l’epica classica si è prestata ad un adattamento “ingenuo/riduttivo” fin dall’inizio, tutto sommato facile per il carattere seminale di grandi narrazioni come Iliade, Odissea, Eneide). La sceneggiatura dell’opera è tratta dall’opera di un autore di alto livello Jean-Claude Carrière, apprezzato romanziere, saggista e cineasta, con collaborazioni di gran peso con Bunuel e un ruolo importante nella scena surrealista di seconda generazione. L’autore aveva portato nel 1984 il Mahabharata a teatro, con un’operazione “di ricerca” (si tratta di un complesso adattamento di nove ore), messa in scena da Peter Brook: in esso, la figura cruciale di Arjuna era interpretata dall’attore italiano Vittorio Mezzogiorno.

Non a caso, il surrealismo ha sempre guardato con attenzione alla cultura del teatro orientale come rivivificazione di quello occidentale, a partire da Antonin Artaud e il suo teatro della crudeltà, che guardava al teatrino delle ombre indocinese. Per paradosso, nell’adattamento fumettistico l’opera diviene tutto sommato più tradizionale come adattamento, per tramite del suo autore, Jean-Marie Michaud, un solidissimo professionista del fumetto francofono che si muove appunto nelle raffinate modalità della scuola nazionale francese.

(Grant Morrison e il “suo” Mahabharata)

Per certi versi, sembra quasi che in questa operazione egli abbia voluto distanziarsi da un’altra notevole ma più libera interpretazione del poema epico indiano, molto più libera e interpretativa: quella del “chaos mage” Grant Morrison, che nel suo studio sincretico di tutte le tradizioni iniziatiche tramite il fumetto ha dedicato un capitolo anche all’epica indu (vedi qui la recensione de Lo Spazio Bianco). Morrison in quest’opera (di cui ho scritto anch’io sul mio blog personale, qui) tende più a evidenziare le corrispondenze tra supereroismo americano e mitologia mondiale (quindi anche indiana) a scapito – legittimamente – di una filologia rigorosa (lo studio è accurato, ma viene modificato ai fini narrativi e anche in certo modo “esoterici” dell’autore, che concepisce ogni fumetto come un “hypersigillo”, ovvero un talismano iniziatico dotato di sviluppo dinamico).

L’opera è quindi fedele alla griglia francese, letta con una certa ariosità, con un segno elegante, minuzioso e raffinato, in linea chiara, un montaggio di tavola mosso ma sobrio, sulla griglia a quattro strisce tipica del franco-belga ma letta con una certa ormai consueta libertà. Molto interessanti le scelte cromatiche adottate: il fumetto si gioca infatti su una tenue contrapposizione di sfumature dell’azzurro e del seppia, senza forti contrasti coloristici ma in un’alternanza che appare soprattutto di ragioni estetiche. In modo forse anche involontario, questa alternanza di cromie richiama il vecchio cinema in bianco e nero, le cui pellicole non erano in una pura monocromia, ma spesso con una leggera colorazione, con la prevalenza appunto del seppia e dell’azzurro (come si nota ad esempio nel lavoro di recupero di Metropolis operato da Giorgio Moroder, nel 1984).

(persistenze induistiche in Gea di Luca Enoch)

In ambito italiano, la fusione sincretica delle mitologie (inclusa quella indiana) era avvenuta in un notevole fumetto bonelliano come Gea di Luca Enoch, in cui si compiva un’operazione in fondo simile a quella morrisoniana (meno dichiarata, ma non meno profonda nel melting pot di mitologemi con piglio quasi “crowleyano”) ma sul fumetto italiano invece che in quello supereroico. Se ne può leggere qui, in un bell’approfondimento de Lo Spazio Bianco, dove si cita apertamente la ripresa (effettivamente presente) del poema indiano – insieme ad altre opere. Sicuramente, sarebbe possibile rinvenire altre intersezioni coi comics, sia in adattamenti più stringenti al testo, sia in virtù del rapporto sottile che da sempre collega immaginario mitico e supereroico. Questo articolo – in inglese, ma di una testata indonesiana – ne raccoglie un buon numero.

Questa nuova opera è inoltre significativa anche per la scelta editoriale italiana: assieme all’Arte della Guerra, quest’opera infatti inaugura la linea fumettistica di una nuova – e già prestigiosa – casa editrice italiana, in una tendenza ormai consolidata. In questo caso, si tratta dell’Ippocampo, che si distingue già in edizioni di pregio di libri artistici. L’editore Sebastiano Le Noel, in una intervista a Fumettologica, rivendica questa scelta di un taglio fortemente “culturale” e con uno sguardo all’oriente – proprio dell’editrice già in altri volumi – nella scelta di queste opere per inaugurare la sua presenza libraria.

Insomma, il “romanzo a fumetti” conferma ulteriormente la sua maturità nella scena italiana, con scelte “difficili” e di grande interesse: per certi versi, può restare di fondo uno scopo “divulgativo”, ma non più nel confronto del pubblico “incolto” (lowbrow, diceva Eco riprendendo MacDonald), bensì verso quello highbrow, che può approcciarsi così a un’opera sterminata e complessa tramite un adattamento fumettistico sì, ma garantito dal pregio autoriale ed editoriale.(di Lorenzo Barberis)