Nei giorni scorsi abbiamo sentito parlare molto di censura in televisione e sono convinta che la maggior parte di noi non apprezzi che agli artisti possa essere messo un bavaglio o che debbano attenersi ad un canovaccio approvato dai vertici Rai. La libertà di espressione, purché nel rispetto degli altri, è un diritto fondamentale in una democrazia, così come il diritto di ascoltare o di cambiare canale.
Seguendo questa linea di pensiero, si potrebbe pensare che la stessa libertà di espressione debba essere concessa nell’ambito della comunicazione scientifica e, recentemente, ho ascoltato Michele Santoro lamentare l’assenza di contraddittorio in tema pandemia, invocando la presenza di Luc Montagnier sui nostri schermi. Per chi non lo sapesse, Luc Montagnier è stato un importante virologo, premiato nel 2008 con il premio Nobel per la scoperta del virus HIV.

Ho usato una forma verbale al passato non perché Montagnier non sia più con noi, ma perché da diversi anni ha abbandonato il campo della scienza per abbracciare la ciarlataneria: tra potere miracoloso della papaya, memoria dell’acqua e teorie no vax, Montagnier è il paladino dei complottisti e di chi di scienza davvero non capisce nulla. E così, quando siamo stati colpiti dal SARS-CoV-2, Montagnier non ha risparmiato al mondo la sua visione distorta della pandemia, suggerendo che il virus fosse stato creato in laboratorio mentre si lavorava ad un vaccino per l’AIDS, che l’infezione si muove attraverso le onde elettromagnetiche del 5G e che i vaccini non vanno usati perché cancerogeni. Come sia possibile che uno scienziato perda la bussola in questo modo è un mistero, ma non è questo il punto cruciale del nostro discorso.

La domanda è: Montagnier deve poter parlare al pubblico di scienza? E i nostri pseudoscienziati, i nostri ricercatori che hanno una visione fantasiosa o faziosa della scienza, devono aver accesso ai canali di comunicazione? O, in altri termini, impedire la diffusione di notizie false e potenzialmente pericolose per la salute pubblica è una forma di censura o una tutela per i cittadini?

Quando si parla di scienza, il servizio pubblico svolge un compito fondamentale che è quello di educare gli utenti e fornire loro informazioni attendibili. Il cittadino che accende la TV la sera, per sentire gli esperti parlare della situazione dei contagi o dei vaccini, non può trovarsi di fronte a chi esperto non è o a chi parla sulla base di proprie congetture, senza tener conto della comunità scientifica che in quel momento rappresenta. In mancanza di competenze specifiche, infatti, gli ascoltatori non sarebbero in grado di capire se le affermazioni bizzarre dell’esperto di turno siano attendibili o meno: il seme della disinformazione si depositerebbe in molti di loro, ed estirparlo sarebbe poi davvero complicato.

Del resto, chi accetterebbe di ascoltare un telegiornale in cui venissero comunicate notizie totalmente assurde? E, allora, se ci sembrerebbe ridicolo un telegiornale che indicasse Fedez come attuale Presidente del Consiglio, perché sentir parlare di vaccini che modificano il DNA non dovrebbe irritarci?

La scienza non è chiusa e dogmatica ma, al contrario, da sempre animata da un vibrante dibattito interno alla sua comunità di addetti ai lavori; ed è qui che deve svolgersi il confronto serrato. La verifica dei dati e delle opinioni rappresenta l’essenza della ricerca scientifica e, per rispettarla, è necessario che non si utilizzino i mezzi di comunicazione per divulgare risultati scientifici non verificati e che si evitino gli scontri pubblici. La scienza va maneggiata con cura e grazia. Anche, e forse soprattutto, durante una pandemia.

(Editoriale pubblicato su La Stampa)