“Il passo”, di Bruno Mattu 

“Il passo “:

Il sipario si apre e agli occhi del pubblico appare una scena buia e completamente vuota. Un lieve brusio di sottofondo proveniente dalla platea testimonia la sorpresa ed il disappunto del pubblico di trovarsi davanti il nulla.

Passato qualche attimo di silenzio, si sente uno scalpiccio, come una serie di passi affrettati che si avvicinano.

Uno spot si accende e tenta di seguire l’attraversamento della scena di questa improvvisa e invisibile presenza. Ciò che riesce ad inquadrare è solo il pavimento in più punti, in rapida successione. In effetti, il rumore dei passi ha attraversato la scena da sinistra a destra, proprio come ha fatto lo spot con il suo cono di luce.

Il pubblico, incuriosito da questa improvvisa presenza sonora, ne ha seguito anch’esso con lo sguardo il percorso, da sinistra a destra.

Poi di nuovo buio e silenzio.

Altro brusio del pubblico, deluso per tutto questo vuoto.

Si sente nuovamente il calpestio che si avvicina, ma questa volta più lentamente.

Lo spot inquadra anch’esso più lentamente un percorso sul palco e ad un certo punto si ferma.

Si sente una voce maschile:

 “Scusate se prima sono passato di corsa e non mi sono fermato, ma andavo di fretta!”

E prosegue con le presentazioni:

”Sono il passo. A volte affrettato e a volte più lento. Pesante o leggero, calibrato o allungato che rischio di incespicare davanti ogni ostacolo.

Non mi si vede, ma mi si sente. Più il pavimento è duro e più mi si ode, mentre lo percuoto nel camminarvi sopra.”.

Il pubblico si sforza d’immaginare una qualche forma per questa voce, ma non vede che la luce dello spot che ora inizia a fare avanti e indietro tra la destra e la sinistra della scena e viceversa, come la voce che si sposta da un lato all’altro.

La voce si scusa: 

“Perdonate il mio continuo incedere, ma, per definizione stessa del mio esistere, non posso stare fermo. Sono condannato a perenne movimento, altrimenti non esisto. Voi mi ascoltate e sentite che esisto proprio e solo quando qualcuno si muove e mi compie. Si è mai visto un passo che stava fermo? Per definizione stessa esisto in quanto sono la distanza compiuta dagli arti di un essere nel suo movimento lungo una direzione intrapresa. Lo so è un po’ complicato, ma se nessun essere compisse alcun movimento, io non esisterei. Del resto è solo con gli esseri e con i movimenti che fanno con le loro gambe che ho senso di esistere.

Nessuna cosa compie da sola un passo.”

Fa un attimo di pausa.

Il pubblico si sta abituando a guardare verso quella luce che cammina da un lato all’altro sul pavimento del palco e immagina un piede o una zampa che consente al passo di esistere.

“Lo so, non immaginavate di trovare me sul palco: ci sono tanti altri personaggi che più di me ambivano a cercare, al posto mio, un autore. Chiunque di questi, però, nella sua lunga ricerca, ha inevitabilmente compiuto dei passi. Tanti passi non fanno altro che alimentare il calpestio e il rumore continuo di questo calpestio genera la curiosità di conoscerne la fonte.”

Il ragionamento non fa una grinza: il passo è lì perché i tanti passi compiuti da personaggi in cerca di un autore ne hanno alimentato l’esistenza.

Il suo stesso esistere è dovuto al movimento. La sua presenza sonora è il frutto dell’incontro tra la parte inferiore dell’arto deputata al movimento dell’essere, più o meno rivestita di materiali e il suolo, nudo o rivestito anch’esso, a sua volta di altri materiali.

Riprende la voce:

“Le persone ne fanno molti di passi, nel percorrere strade, ma in tutti i punti in cui trascorro, non ho l’esatta percezione della direzione intrapresa.

Sono le persone che traguardano con i loro occhi e sono sempre loro che valutano se possono arrestare il cammino o proseguire oltre.”

Il pubblico continua a seguire il cono di luce che cammina sul palco e segue anche tutti questi ragionamenti: il personaggio è particolare e non difetta certo d’originalità.

“Quante volte un passo affrettato si rivela prematuro e quante altre lo stesso passo, giunge invece in ritardo nel punto esatto in cui trascorre?

Mi piacerebbe esprimere sempre eleganza ed appropriatezza ad ogni circostanza, ma nel mondo è difficile muoversi a passo di danza!

Quanti tipi di passi vedete in giro oggi?

Provate a chiedervelo!

Vi renderete conto, senza nemmeno impiegare molto tempo, che ne sono rimasti davvero pochi. La varietà non è una caratteristica apprezzata al giorno d’oggi: un passo per esistere ha bisogno di essere notato, non deve perdersi dietro inutili congetture e arrivare in fretta al nocciolo della questione, alla meta, senza divagare.

Gioco forza di tutto questo ragionamento è che alla fine la scelta ricada inevitabilmente su quello sicuro, che si ode da lontano, quasi a voler dire a tutti: “Eccomi!”; oppure su quello affrettato, che corre perennemente e che proprio con il rumore si fa strada.”

Fa un attimo di pausa e poi continua:

“Ma che fine ha fatto il passo lento, quello scalzo, quello distratto, quello soffermante?

Sono tutti tipi che non s’incontrano più!

A volte ancora qualcuno di loro appare anche nei nostri passi, ma sono forse delle rarità che provengono dal desiderio delle persone di riprendere fiato dal loro continuo correre.

Anche voi che siete comodamente seduti ad ascoltare quanto vi sto dicendo, tra i vostri passi ne conservate ancora qualcuno di quelli che ho citato, ma quasi vi vergognate a tirarlo fuori e proseguite a compiere passi affrettati nell’illusione che vi conducano rapidamente a destinazione.

E’ vero! Giungete dove volevate, ma di tutto il percorso fatto, che ricordo serbate? Nel migliore dei casi un indistinto sottofondo di sagome e figure in penombra!

Eppure è proprio il cammino che dovrebbe insaporire la meta, una volta raggiunta, con il sale della fatica. E’ il contorno che fa da contraltare alla pietanza e n’esalta il sapore, ma se il contorno non c’è la pietanza perde anch’essa sapore.”

L’uditorio in penombra ascolta in silenzio. Mentre il passo parla si odono in sottofondo altri passi che, in lontananza interpretano le tipologie dei passi citati.

La voce riprende:

 “Ci sono delle volte poi, che, pur camminando con la stessa intensità, non si produce quasi rumore alcuno: sono i passi che si fanno a piedi scalzi sulla spiaggia, in riva al mare. Restano delle impronte che indicano, nel loro puntuale susseguirsi, le une di seguito alle altre, una più o meno univoca direzione.

Quanto più il terreno è morbido, tanto più trattiene l’impressione dei passi e tanto meno il camminarvi sopra produce rumore.

Ci sono ancora degli esseri che amano compiere i loro passi nella quiete e tentano di fare meno rumore possibile, anche sulle superfici dure, camminandovi sulle punte dei loro piedi. Tutto ciò perché non vogliono disturbare con il rumore della propria l’altrui vite ed infastidire con il suono dei propri passi.

Sono molti i passi falsi che si compiono e non è dal rumore che si possono riconoscere. Ad udirli, infatti, sono identici in tutto agli altri. E’ la direzione intrapresa che porta solo ad un vicolo cieco, che non offre alla vista alcun’uscita. Una persona saggia dovrebbe vedere con gli occhi dei sentimenti e del ragionamento e capire prima di compierli quali sono i passi sbagliati. Ma una persona saggia lo diventa con l’esperienza, dall’aver capito dai suoi precedenti errori a non sbagliare. 

Quando si erra, si procede alla cieca, senza una precisa meta stabilita e senza avere in mano una bussola che indichi la giusta direzione. Si è spinti in avanti da un indomito e cieco entusiasmo che nasconde alla vista tutti gli ostacoli e le difficoltà, spesso insormontabili, che la presunzione delle proprie forze fa credere di poter spianare con facilità.

Ecco perché quando l’entusiasmo va scemando affiora con determinazione il dubbio di non riuscire a portare a termine l’impresa nella quale ci si era imbarcati.”

Il passo ha percorso molta strada con le sue parole. Il pubblico ascolta attento quella voce che si muove da un lato all’altro della scena, seguita o anticipata dalla luce che tenta di individuare i punti in cui passa.

Il pubblico si è abituato a questo personaggio e non vede più la scena vuota del palcoscenico nudo, ma la pienezza di quella presenza, invisibile si, agli occhi, ma così densa e concreta alle orecchie.

da: “Come tanti minuscoli io” – Raccolta di brevi racconti surreali

Monologo de “Il Passo”