La bambina e il poliziotto

Alessandro si infilò la maglietta blu con il distintivo sulla spalla. Si aggiustò i capelli senza guardarsi più di tanto nello specchio e sospirò. Lo aspettava una notte di turno, per le strade di Treviso centro a fare il poliziotto. Non era il lavoro a intristirlo, ma il biglietto ancora attaccato sul frigo con una calamita rossa: “arrivo tardi”, scritto di fretta con la penna. Da quando sua moglie era rimasta incinta, le cose tra di loro si erano come congelate e pareva non riuscissero più a parlarsi. Quasi sembravano evitare le occasioni per incontrarsi faccia a faccia. Alessandro finì di prepararsi: la cintura, le scarpe, la fibbia con la pistola. Gennaro, il suo collega di stasera, lo aspettava in centrale con la volante. Si chiuse la porta alle spalle e lo raggiunse in pochi minuti.
Salutò appena montando in auto e si sentì in colpa. Gennaro era un amico oltre che un collega e gli voleva bene, non doveva difendersi dal suo affetto. Ma non aveva voglia di parlare di Claudia e del loro silenzio prolungato.
Gennaro lo inquadrò subito e non fece commenti. Accese il motore e cominciarono il loro giro di controllo. Era una serata tranquilla, il coprifuoco era già scattato alle 22 e a quell’ora tarda erano ben poche le persone ancora per strada. Fermarono un ciclista, un infermiere che stava tornando a casa dopo il suo turno in ospedale. Alessandro notò con una stretta al cuore i segni rossi della mascherina FFP2 che aveva tenuto addosso per ore. Gli restituì i documenti e lo salutò come fosse un amico.
Tornò pensieroso al suo posto in macchina e si decise a parlare.
«Claudia è incinta.»
«Bene! Congratulazioni Ale!» esclamò subito Gennaro.
«Grazie. Non era previsto. Lei… Lei è molto felice, credo.»
«Ah. E tu no?»
«Non c’ho mai pensato veramente, a un figlio. Io non vengo da una bella esperienza. I miei litigavano di continuo e quando mio padre se n’è andato l’ho visto sì e no qualche volta in dieci anni. Non credo di poter fare di meglio. Non riesco a far finta di che vada tutto bene e Claudia se n’è accorta.»
Gennaro restò zitto, pensando.
«Mi dispiace per te, Ale. La famiglia dovrebbe essere il posto migliore dove stare.»
Alessandro si voltò a osservarlo. Era un nonno ormai, tra un anno sarebbe andato in pensione. La sua rumorosa e impicciona famiglia napoletana era il suo tesoro più grande, come diceva sempre. Se non aveva esperienza lui…

Iryna scivolò fuori dalla porta mentre la mamma parlava al telefono nell’altra stanza. Voleva vedere il gatto rosso che aveva intravisto poco prima. Scese le scale dell’albergo in silenzio, giocando a fare la spia. Si riparò dietro una colonna finché il signore dietro il bancone non si distrasse un momento e riuscì a correre fuori dalla porta. Dall’alto dei suoi 90 cm, Iryna comunque passava sotto il piano della reception e non l’avrebbe vista nessuno. Uscì finalmente all’aperto e non si impressionò affatto per il buio della notte, né di trovarsi da sola senza mamma e papà. Il suo obiettivo era il gatto rosso, non pensava ad altro. Camminò un po’ per il portico e raggiunse piazzetta Monte di Pietà. Eccolo, ad un tratto lo vide che correva in mezzo ai ciottoli. Corse felice dietro al gatto con le sue scarpette rosa e seguendolo attraversò tutta Piazza dei Signori, la piazza principale del centro. Non c’era nessuno in giro, i suoi passi risuonavano ritmici sui lastroni del pavimento. Palazzo dei Trecento sembrava osservarla stupito dalle sue trifore e dalle sue arcate. La bimba arrivò sotto i portici e si fermò a guardare un paio di scarpe col tacco, in una vetrina. Erano scintillanti, brillavano come stelle alla luce dei lampioni. Sicuramente quelle di Cenerentola erano fatte nello stesso modo. Si attaccò al vetro con entrambe le manine e appoggiò anche la fronte. Dopo un minuto di stancò di guardare e prese a camminare per il vicolo.

Gennaro inchiodò i freni in piazza Pola e fece un cenno ad Alessandro.
«E quella?»
Neanche il tempo di rispondere che Gennaro era già fuori dall’auto e si avvicinava ad una bimba in camicia da notte, con i boccoli biondi tutti spettinati e l’aria seria, che stava in mezzo alla strada.
Scese anche Alessandro e si avvicinò, ma non troppo. Non doveva farle paura, raccomandò a se stesso, ma in realtà forse era più lui ad aver paura di lei.
«Come ti chiami?» le chiese Gennaro, accucciato vicino a lei, con voce tranquilla e pacata, «Dov’è la mamma?»
La bimba non rispose, lo teneva d’occhio senza muoversi. Guardava entrambi gli uomini con aria grave.
Gennaro si guardò in giro ma non vide nessuno.
«Sei da sola? Dove sono la mamma e il papà?»
La piccola disse qualcosa in una lingua aspra, spigolosa, incomprensibile.
Gennaro e Alessandro si guardarono, perplessi.
«Che facciamo?» chiese Alessandro.
Gennaro si grattò la testa.
«Portiamola in ospedale, nel frattempo avvisiamo la centrale. Vieni piccola?»
Gennaro le tese la mano con un sorriso e la bimba si decise a prenderla. L’uomo la condusse all’automobile e la fece salire sui sedili posteriori. Sedette anche lui, continuando a parlarle come se potesse capire qualcosa, mentre Alessandro si mise a guidare verso l’ospedale.
La bimba continuava a stare tranquilla tenendosi per mano con Gennaro, ma quando fu il momento di entrare nel grande edificio sembrò spaventarsi. Rallentò il passo e cercò di fermarsi.
«Prendila in braccio, Ale.»
«Cosa? Perchè io?»
«Perchè io tengo mal di schiena.»
Alessandro arrossì e si chinò di fianco alla bambina. Le sorrise incerto sentendosi uno stupido: non aveva mai preso in braccio nessun bambino fino ad allora.
«Allora, che ne dici se adesso ti prendo in braccio e entriamo? Non devi aver paura, ti porto io.»
Le tese le braccia per chiarirle cosa intendeva e con sua grande sorpresa la piccola gli tese le manine e si fece prendere in braccio.
Alessandro si raddrizzò e la bimba gli strinse le braccia attorno al collo, posando la testa sulla sua spalla. Il giovane poliziotto era ammutolito, seguiva il collega nel corridoio con una strana sensazione dentro la pancia.
Gennaro lo precedette e parlò con l’addetto allo sportello. Il pronto soccorso era deserto quella notte, non aspettarono che qualche minuto fuori dall’ambulatorio.
Una volta dentro, però, la piccola non mollò la presa su Alessandro e gli toccò tenerla sulle ginocchia mentre il medico di turno cercava di capire se stesse davvero bene come sembrava.
Il dottore fece qualche domanda, la guardò bene in faccia, le tastò braccia e gambe mentre lei non lasciava la mano di Alessandro neanche per un momento.
Il medico li rincuorò e in pochi minuti e si ritrovarono fuori dal pronto soccorso. La bambina continuava a stringersi al petto di Alessandro, che ormai si sentiva come un principe delle favole. Il modo in cui si sentiva le braccine attorno al collo gli dava un’emozione nuova. Si sentiva oggetto di una fiducia assoluta, incondizionata, del tutto immeritata ma non per questo meno sincera. E il suo istinto ricambiava con un prepotente desiderio di proteggere quell’esserino delicato.
Gennaro lo guardava con simpatia e, così lui aveva creduto di intravedere, anche un po’ di paterna consapevolezza. Ricevettero la chiamata dalla centrale che i genitori della bimba, dei turisti ucraini alloggiati in un albergo in centro, si erano accorti della sua scomparsa e la stavano cercando.
Rimontarono in auto per tornare in centro e stavolta Alessandro salì dietro con Iryna, senza parlare. La piccola si distese sul sedile e gli appoggiò la testa sulle gambe. Lui prese ad accarezzare quei boccoli biondissimi provando già nostalgia di lei.
Arrivati davanti all’albergo dove li aspettavano i genitori, Alessandro la riprese in braccio come fosse la cosa più naturale del mondo ed entrò nella hall. Subito una donna alta e bella si precipitò verso di loro chiamando Iryna a gran voce e la piccola in un momento fu tra le braccia della sua mamma. Anche un uomo con una folta barba bionda li raggiunse con le lacrime agli occhi e circondò le sue donne con le braccia.
Alessandro si sentiva un po’ in imbarazzo a restare lì a guardarli tutti e tre abbracciarsi e cominciò ad arretrare.
La piccola Iryna si accorse che se ne stava andando e si liberò dall’abbraccio dei genitori. Rincorse il poliziotto, gli tirò una mano e lui si inginocchiò davanti a lei. Gli diede un bacio sulla guancia e lo abbracciò stretto stretto. Poi gli sorrise e tornò saltellando verso i suoi genitori, che si stavano avvicinando.
Alessandro si rialzò commosso e strinse le mani del padre di Iryna con calore. Non parlarono, ma l’affetto e la gratitudine passarono chiari sui loro volti.
Gennaro aveva sbrigato le formalità e lo aspettava in macchina, con un sorriso sornione. Alessandro si asciugò gli occhi e si schiarì la voce, prima di salire in auto e fingere la sua solita compostezza.
Quando tornò a casa, la mattina dopo, aveva qualche minuto prima che Claudia uscisse per andare al lavoro. Appena entrato, andò a cercarla per casa e quando la trovò l’abbracciò stretto.
«Ale, tutto bene? È successo qualcosa?» gli chiese lei, preoccupata.
«Sì, tutto bene», mormorò lui, prima di baciarla.
«Ti amo. Amo te e nostro figlio.»
Claudia lo guardò negli occhi e appoggiò d’istinto una mano sull’addome. Sorrise e l’amore le traboccò dagli occhi in una lacrima commossa.

N.B.: questo racconto si ispira ad un fatto di cronaca accaduto a Venezia nel maggio 2021. Ogni riferimento a persone esistenti è puramente casuale.