Luoghi, personaggi, fatti, leggende

Di Luciana Benotto

Storia del riso e dell’invenzione di quello alla ‘milanese’

Il riso abbonda sulla bocca degli stolti, Il riso fa buon sangue immantinente: e il buon sangue non mente sono famosi proverbi. Non è però di questo riso che voglio parlarvi, bensì di quella pianta tropicale originaria dell’Asia sud-orientale che spesso troviamo sulla nostra tavola sotto forma di risotto ai funghi, allo zafferano, con salsiccia, con gli asparagi e altre ricette. Questo cerale, il cui nome deriva dal greco oryza, che a sua volta viene dal sanscrito vrihi, ha percorso una lunga strada prima di giungere nella pianura Padana, infatti, pare fosse già coltivato nel III secolo a.C., ma il merito della sua diffusione nel Mediterraneo va agli Arabi che lo introdussero in Spagna e in Sicilia nell’VIII secolo d.C., mentre nello stivale arrivò ben sette secoli dopo: nel 1400, per merito, questa volta, degli Aragonesi che lo portarono in Campania da dove poi sarebbe salito in Toscana, fino a giungere nell’area padana dove, un po’ alla volta comparve sulle tavole di ricchi e poveri a sostituire cereali meno nutrienti quali la segale, l’orzo e l’avena. Ma come ha potuto una pianta tropicale adattarsi al nostro clima e al nostro ambiente?

È vero, il clima della pianura è caratterizzato da freddi e lunghi inverni, perlomeno lo era, ma anche da estati calde e umide. Il terreno della cosiddetta bassa è impermeabile e ricco d’acqua e ciò ha permesso di coltivare il riso solo una volta l’anno (contro le due o tre delle zone tropicali), ma dando un raccolto di qualità molto superiore a quella asiatica. Certo, queste ragioni naturali non sono sufficienti a spiegare la sua sempre maggiore diffusione nella Padania, avvenuta nel XVII secolo, ovvero in un momento di stagnazione economica durante il quale governavano gli Spagnoli e che, come racconta anche il Manzoni nel suo famoso romanzo, erano ancorati ai loro privilegi nobiliari e disprezzavano l’industriosità e ogni forma di attività economica. Insomma, nel Seicento anche l’operosa Lombardia e le sue città, languirono prive di vitalità, e in campagna alcune zone tornarono ad impaludarsi. Lo sfacelo non riuscì comunque a prendere il sopravvento, anzi, proprio in quel periodo, il riso continuò a prendere piede a braccetto di nuove colture: il gelso e il mais. Il secolo successivo, con la nascita della borghesia imprenditoriale e del capitalismo agrario, la sua coltivazione fu ulteriormente incrementata: si allestì una rete irrigua efficiente che potesse sfruttare la notevole quantità d’acqua disponibile, di modo che, in un intrico di canali e di rogge, tutti avessero accesso all’acqua da distribuire sui campi: ciò fu sancito dal  cosiddetto diritto d’acquedotto che garantiva ad ogni proprietario l’attraversamento delle proprie acque su fondi altrui. Nell’800 riso e risotti facevano ormai parte della tradizione gastronomica italiana, ma a onor del vero, va detto che sono i Lombardi e i Piemontesi quelli che sanno meglio cucinare il risotto; infatti, nel resto della penisola, il riso si bolle e poi ad esso si aggiungono i vari sughi di verdura, carne o pesce. Da noi, invece, gli alimenti che si aggiungono vengono cotti insieme ai chicchi fino a quando il brodo non si è asciugato. Grandi amanti del risotto furono Gioacchino Rossini e Giovanni Pascoli, che apprezzava soprattutto quello alla milanese. E a proposito di quello con lo zafferano, la tradizione racconta che la sua invenzione fu casuale: si deve alla sbadataggine di un garzone di bottega che. nel lontano 1585, lavorava come tuttofare per alcuni pittori che dipingevano le vetrate del Duomo di Milano. Tra le sue mansioni c’era anche quella di cuoco. Un giorno, successe che per errore, gli cadde della polvere di zafferano (a quel tempo usato come colore), nella pentola del riso che stava cucinando, così, pur correndo il rischio di essere rimproverato, decise comunque di servirlo in tavola dove, con sua grande meraviglia, ricevette gli elogi dei commensali. Da allora il risotto giallo entrò a far parte della tradizione culinaria milanese.