“Maometto si è stancato dell’andirivieni.  Maometto sta a casa e aspetta lentamente la montagna che, dopo millenni di oscillazioni sulle faglie, rompe il patto con le carte geografiche e si sposta.”

“Cosa vuoi dire? A volte non ti capisco. Con chi ce l’hai?”

“Non molti anni fa mi mettevo comodo, pronto ad affrontare un giorno intero di viaggio, un libro nella borsa e non mi importava di niente, mi immergevo nelle pagine e iniziava per me l’altro viaggio. Quello nell’immaginazione. Il treno macinava chilometri in tutta calma e io con la stessa calma mi estraniavo dal flusso distruttivo del tempo che mangia il tempo – che allora neanche era tanto distruttivo, figuriamoci, ma già mi difendevo. Ora, e tutte le volte che mi costringi a salire su questi convogli dal muso affilato che squarciano l’aria, ho il cuore sballottato in alto e in basso, a destra e a sinistra. Mi stordisce un paesaggio inghiottito dal vento, non colgo che il soffio già passato che cede spazio a quello successivo. Mi sento come un razzo lanciato in una missione competitiva, da record, da annullamento dei riferimenti. La velocità ci schiaccia, porta via le espressioni, le parole, i gesti, gli sguardi che vorrebbero cogliere il dettaglio. I panorami, che si affacciano in un usa e getta. Non è umano tutto questo. Ecco, in un futuro prossimo sento che non avremo più bisogno di spostarci, la città che ci occorre ci verrà portata là dove siamo. Hai una conferenza a Francoforte? Subito! Fai il biglietto elettronico e ti verrà spedita in quattro e quattr’otto a domicilio la città intera, il quartiere, o la strada che selezioni. Vuoi andare ai Tropici? Non ce n’è bisogno, un’agenzia ce li porterà a casa. Ci stiamo evolvendo troppo e troppo in fretta, mi sento oltremodo invecchiato e fuori posto. Chi mi ridarà la serena lentezza dei capelli bianchi che si rivelavano uno per volta, così da evitare lo choc da smarrimento da se stessi, da sindrome dell’estraneo che spunta in noi dal niente? Bisogna stare attenti a non sfidare troppo i ritmi naturali o diventeremo vortici di passaggio, lampi di cenere. Sto perdendo me stesso nel tragitto, questo rombo potente mi sovrasta, non riesco neanche a pensare come vorrei. Forse tra poco inizio a sragionare.”

Osservo mio padre, convinto della sua (e non sua soltanto) filosofia del si stava meglio una volta e in mente lo ridicolizzo. Ma come si fa a rimpiangere un noiosissimo viaggio dalla durata assurda, tipo negli anni ’60, con le sacche maleodoranti di panini con frittate casalinghe accanto alle valigie, famiglie con i marmocchi al seguito da sopportare tutto il giorno e la notte ancora peggio, con le gambe del dirimpettaio allungate al fianco, sul proprio sedile, nello scompartimento trasformato in un unico grande letto. Che mancanza di riservatezza, che promiscuità di piedi liberati dalle scarpe, bocche aperte, respiri che russavano senza dar conto a nessuno! Se io restassi un giorno intero (o una notte) su uno dei convogli inesorabilmente lenti di una volta (che conosco per fortuna solo dai racconti di famiglia) darei di matto, sarei capace di commettere qualsiasi insensatezza pur di liberarmi da tale fastidio. Evolversi è un nostro conquistato successo. Un premio all’intelligenza. Come fa a non capirlo? Forse la sua è solo fifa. Devo trascinarlo più spesso in giro, anche in volo. Si abituerà e ci prenderà perfino gusto.

Il treno è fermo fuori stazione da un bel po’, il silenzio del metallo che non stride più tra ruote e binari presto inonda l’udito. Una strana stasi pervade l’imbrunire. Cominciano le domande:

Come mai siamo fermi?

Possibile che si debba perdere tanto tempo prezioso?

Farò un ricorso alla compagnia per negligenza e mi dovranno pagare i danni, azzarda un uomo cosiddetto “d’affari”.

Ah se esistesse il teletrasporto…ma ci lavoreremo, non è vero?, a voce alta un ragazzo al telefono   – a mio padre si accappona la pelle.

Passa, gentile, il controllore. Spiega che la neve si è ghiacciata negli scambi, causa le rigide temperature. Dobbiamo stare tranquilli e aspettare, visto che non si può fare molto al momento per risolvere tale imprevisto. Nemmeno l’alta velocità può contrastare le condizioni meteorologiche, purtroppo.
Mio padre si solleva dalla morbida e confortevole poltrona e si mette una mano sul cuore. Poi la solleva e la agita in aria, con il pugno chiuso. Esulta, come se il suo nostalgico ragionamento di poco prima avesse dato una svolta agli eventi: “La natura sa come fare, sa come fare!”

(testo pubblicato nella rivista “Quaderni” del Movimento letterario-artistico UniDiversità, n. 3/2021 – giugno ’21)


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