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“Duecento giorni di tempesta”, di Simona Moraci

Recensione a cura di Antonella Giuffrida

“Avevo sognato a lungo quel momento, sotto l’ombrellone, in riva ai miei pensieri: avevo immaginato grandi sorrisi nel proporre le mille idee che mi baluginavano in mente. Da precaria ero sempre riuscita a realizzare sogni, incantare i ragazzi, piacere ai colleghi. Non mi ero resa conto di essere sulla frontiera alla ricerca del Santo Graal o, comunque, di un santo che mi prendesse in considerazione”.

Spesso la realtà è totalmente diversa da come si possa immaginare e la quotidianità che Sonia, docente precaria in una scuola di periferia, si trova ad affrontare, è tutta da scoprire.

Si dice che il lavoro nobiliti l’uomo e credo sia vero ma a volte succede che il lavoro ti annienta, ti stressa, ti distrugge lo spirito e a volte mette a repentaglio la tua stessa persona.

Questo è ciò che succede a Sonia, la protagonista del romanzo “Duecento giorni di tempesta”, classificatosi al terzo posto nella sezione Narrativa al premio L’Iguana, scritto da Simona Moraci, giornalista professionista e docente di lettere dalla penna abile, dalla scrittura fluida , concisa ma incisiva. Dopo aver pubblicato “I confini dell’anima” e “Giornalisti, e vissero sempre precari e contenti”, entrambi con Armando Siciliano editore, Simona Moraci ci accompagna nei suoi duecento giorni di tempesta, perché duecento sono i giorni di scuola che la protagonista trascorrerà con i suoi alunni, e non solo con loro. Un romanzo di luci e ombre, duecento giorni vissuti in Sicilia, nella città di mare acquisita, lontana dalla natia città di mare. Entrambi i centri abitati diventeranno le “sue città di mare” che come un leitmotiv faranno da sfondo alle pagine del libro. E fra queste due città si contende la vita della protagonista.

“ I grandi amori sono fatti d’inferno e paradiso. I miei bambini erano il dono più grande che la scuola potesse farmi. L’amore che mi hanno insegnato va oltre la comprensione. Era come se fosse impossibile salvarli dalle dinamiche di un quartiere che li aveva resi duri, aggressivi già a dieci anni.”

Il romanzo, è ambientato ai nostri giorni, in una realtà degradata , dove la scuola è solo un ripiego alla “vita di strada”, dove il “modus vivendi” della strada si riflette sulla quotidianità, dove l’infanzia è negata, dove la violenza impera, dove la voglia di apprendere è pari a zero e dove il docente deve escogitare strategie e motivazioni per interessare alunni che tutto vogliono fare tranne studiare. Sonia è una donna appassionata, solare e creativa: “dove compare lei compare il sole”, le dice una collaboratrice scolastica e lei desidera portare il sole nel cuore dei suoi ragazzi. Ragazzi abbandonati, “ragazzi esplosivi”, che passano la vita in strada, che non giocano con i videogame, che non hanno genitori alla spalle che li motivano; ragazzi emarginati, alcuni sono figli di delinquenti, sono gli “ultimi” della società. Tuttavia Sonia, forse per riscattare il suo passato problematico , si mette in gioco e si scontra con una realtà difficile ma lentamente cerca di interagire con i ragazzi e l’unico modo per farlo è mettersi al loro livello. E si inventa di tutto: dalle feste, al teatro, ai giochi . E cosi, la Locandiera di Goldoni ma anche la spiegazione di Dante o Petrarca diventano storie da narrare quasi per gioco. E Sonia si trova a interpretare ora il Sommo poeta, ora il poeta “solo e pensoso” innamorato di Laura; non è certo una lezione normale quella di Sonia! Tuttavia il suo interloquire fa breccia sui ragazzi; e gli alunni si esprimono con il loro dialetto perché solo così riescono a dialogare; ma iniziano a conoscere e riflettere sui poeti e ciò diventa motivo di consolazione per la docente.

-“Pozzu ripetere?” Damy era un ragazzo timido e riflessivo, che non riusciva a dosare forza ed emozioni, finendo per far sempre male a qualcuno. Tuttavia era capace di profondità insperate ed era uno dei pochi in grado di rielaborare e fare suo un pensiero. – “Dante ‘a fimmina ‘a taliava, ‘i luntanu, forsi ‘a salutava, non si sapi bonu. Prof, secunnu mia era puppu. Petrarca, invece, non sulu a fimmina a taliava ma ci vulia fari pure i cosi lordi. Era omo, sicuro.”

Un romanzo che alterna momenti crudi, veri, dove la protagonista mette a rischio anche la propria salute, a momenti dove a parlare è il sentimento. In una “realtà a rischio” non è facile insegnare; quando ci si trova coinvolti in episodi incresciosi, è difficile avere il polso della situazione; si cerca un supporto, un conforto, uno sguardo che possa farti sentire meno sola! Ma questo supporto non arriva, anzi tutt’altro: ci si trova soli in mezzo a chi preferisce farsi da parte pur di non parlare. Eppure nel romanzo c’è spazio anche per una storia d’amore complicata; una storia di sopravvivenza, di affetto, di gratitudine, di amicizia, di gelosia. E il mondo sembra correre più veloce di Sonia ma lei non demorde e affronta la vita senza delineare i confini fra le due cose: sentimento e dovere. E le diverse emozioni e il turbinio della sua anima stridono con la quiete del mondo della strada della “sua città di mare”; c’è chi ferisce con le parole, c’è chi invece ferisce con i fatti. Stefano e Andrea, anche loro protagonisti del romanzo, colleghi di Sonia , entrano nella sua vita; per loro Sonia è “la straniera”. Uno è come il vento: riesce a far volare via i pensieri tristi dalla mente della collega e per questo le prende l’anima e il corpo; l’altro è la forza, è il mistero, è la passione. Entrambi con un passato da dimenticare, entrambi racconteranno la propria anima. Tutti i personaggi non sono statici: il loro carattere si evolve; in positivo o in negativo sarà il lettore a giudicare; l’abilità della scrittrice è quella di crearli e metterli a nudo con sentimenti diversi, ogni personaggio ha una sua catarsi interiore. Ed è questo movimento di sentimenti che tiene il lettore legato al libro, lo trascina, lo travolge, lo incuriosisce, spingendolo ad allearsi con uno o con l’altro personaggio. In alcune pagine il lettore vorrebbe istintivamente fermare lo scorrere degli eventi e magari modificare il copione ma la vita continua inesorabile. Interessante è il ruolo di Altea: attraverso questa amica, Sonia estrinseca il proprio io, le paure, le ansie, le sofferenze; spesso è il suo “alter ego”.

In un romanzo dal ritmo incessante, ambientato al Sud, non possono mancare le prelibate ricette culinarie che Simona Moraci descrive con dovizia di particolari, così come non mancano le descrizioni dei luoghi delle “sue città di mare”.

Un romanzo dove tutti i sensi vengono messi in moto: una storia da toccare con mano, da ascoltare; una storia che profuma di granite, di pasta; pagine che permettono al lettore di intraprendere un viaggio nella “terra dove il sole non tramonta mai”, e se il sole tramonta lo si ha nel cuore, sempre.

“Quando scese la sera lo portai dove ero cresciuta io, tra mura di salsedine e voci di Scirocco. C’era ancora, nel vicolo del piccolo villaggio di pescatori, la casa che non era mia, assieme ai ricordi di un’altra vita e di un altro amore.”

E la scrittrice , con un linguaggio leggero , a volte ironico, con frasi dialettali, svela il senso di appartenenza alla propria terra: ed è proprio questo modo di scrivere della Moraci che rende la protagonista una donna per niente estranea a noi. L’io narrante che da Sonia si trasferisce ad altri personaggi , trascina il lettore in mondi tanto eterogenei quanto affascinanti. La suspense è sempre viva, la trama avvince e la vita dei protagonisti si intreccia e prende strade che spesso si incontrano ma a volte si dividono. Un romanzo che si addentra in una realtà che ognuno di noi può vivere, una realtà dove giornalmente si spera in un domani migliore. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” lo ha scritto De André nella ballata “Via del campo”. Anche Leopardi nella lirica “La ginestra” lascia trapelare un barlume di speranza affermando che da una roccia può nascere un fiore dal colore del sole. E se lo hanno affermato personaggi illustri…perché non sperare anche noi?

Riuscirà Sonia a superare i suoi duecento giorni di tempesta fisica e psicologica? Riuscirà a salvare i suoi ragazzi dalla strada nella quale li ha trovati? Dovrà fare i conti con il passato , con il presente e con i moti del suo cuore!

“Mi domandai se quella strada che stavo percorrendo sarebbe stata sempre in salita, se si può davvero salvare qualcuno senza farsi male o farne ad altri.”

E “Duecento giorni di tempesta” è un romanzo nel quale ognuno di noi si può rispecchiare.

Buona lettura!

Antonella Giuffrida