La campagna di vaccinazione in Italia vede ad oggi il 34% dei cittadini protetto, grazie al completamento del ciclo vaccinale, mentre circa il 58% ha ricevuto almeno una dose. Questi dati, che da soli non ci permettono di dire molto, se accompagnati dai numeri sulla percentuale di dosi utilizzate, che è intorno al 90% sul territorio nazionale, indicano un’alta efficienza nella distribuzione e utilizzo dei vaccini che abbiamo a disposizione. Fin qui, dunque tutto bene. Tuttavia, entrando maggiormente nel dettaglio, alcuni elementi di preoccupazione emergono.
Il primo fra tutti è il numero di persone con più di 60 anni non ancora vaccinate, non per mancanza di vaccini o inefficienze locali, ma per scelta. Nella fascia di età più a rischio, quella appunto degli over 60, ci sono circa 2,6 milioni di italiani che hanno deciso di non ricevere la vaccinazione. Se non cambieranno idea, quando arriverà l’autunno e il virus riprenderà a circolare in maniera vigorosa, queste persone rischieranno di ammalarsi gravemente e metteranno sotto stress gli ospedali. In Sicilia, per esempio, il 18% degli over 80 e addirittura il 25% della fascia 60-79 anni non si è prenotato per la vaccinazione. Come fare per convincere queste persone a proteggere se stesse e la comunità? Le strategie sono diverse e probabilmente vanno utilizzate tutte. Per esempio, si potrebbe chiedere ai medici di famiglia di contattare gli assistiti esitanti e rassicurarli. Oppure si potrebbe provare a proporre i vaccini a mRNA anche nella fascia 60-79 anni, per immunizzare chi, pur senza un valido motivo, rifiuta i vaccini adenovirali. Vaccinare le persone a rischio di Covid-19 severo è fondamentale e ogni approccio deve essere tentato.
Un secondo motivo di preoccupazione è dato dalle iniziative di singole regioni che creano confusione e, di conseguenza, sfiducia nella popolazione. A fronte di regioni che sono sempre state molto ferme nell’applicazione delle indicazioni ricevute, come per esempio il Veneto, ci sono regioni che, pur di usare i vaccini disponibili, sono ricorse a open day e open night in cui chiunque poteva ricevere qualunque vaccino. Ancora oggi, la regione Lazio sta spingendo per utilizzare i vaccini adenovirali nei giovani, nonostante le indicazioni del CTS, di AIFA e del Ministero, e sta accorciando, di sua iniziativa, l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda dose.
Infine, nonostante nei giorni scorsi ci sia stata l’apertura alle vaccinazioni per tutte le fasce di età, dai 12 anni in su, oggi diverse regioni, tra cui la Puglia, si sono viste costrette a rimandare gli appuntamenti e rivedere la strategia di vaccinazione a causa della mancanza di dosi. Proteggere i ragazzi prima dell’inizio della scuola è importante ma, al momento, in mancanza di un numero sufficiente di dosi, sarebbe più opportuno procedere con le vaccinazioni degli adulti e attendere il mese di agosto per i più giovani.
Per non alimentare dubbi nei cittadini e perché sia efficace nella protezione dal virus, è fondamentale che la strategia di vaccinazione sia coordinata e basata su chiare indicazioni da applicare in maniera uniforme su scala nazionale. Le priorità e le modalità sono chiare: vaccinare prima chi è a rischio di malattia severa e utilizzare per ciascuna categoria il vaccino più sicuro e più efficace. Non si tratta di una gara tra regioni a chi fa prima ma di una cooperazione di tutti a fare bene.

(Editoriale pubblicato ieri su La Stampa)