“L’arma più efficace per combattere il virus è quella di curare i pazienti ai primi sintomi”

Intervista di Desirè Sara Serventi

https://sledet.com/terapia-domiciliare-covid-intervista-al-prof-andrea-stramezzi

Svolge la professione di medico con grande dedizione e mettendo sempre al primo posto la salute dei propri pazienti, distinguendosi, giorno dopo giorno, per l’attenzione e la premura che dimostra nei confronti degli altri: stiamo parlando del prof. Andrea Stramezzi, medico italiano che ha avuto in cura oltre 800 persone colpite dal virus. I pazienti del prof. Stramezzi avevano riscontrato l’infezione da COVID-19 mostrando sintomatologia evidente e anziché attenersi al protocollo standard della vigile attesa il prof Stramezzi ha invece optato per la tanto discussa terapia domiciliare. Sledet.com ha raggiunto il prof. Andrea Stramezzi che, nonostante i suoi numerosi impegni, si è dimostrato disponibile a parlarci della terapia domiciliare, spiegandoci in cosa consista e quali siano i farmaci adoperati dai medici per curare i pazienti nelle proprie case.

Lei fa parte dei medici che sono scesi in campo nella lotta al covid applicando sui malati le terapie domiciliari anziché la vigile attesa. Da cosa è stata dettata tale scelta?  

Per un motivo molto semplice, sono un medico, e quando c’è un’emergenza sanitaria prendo e vado, ed è normale che lo faccia. Diciamo che non è normale che gli altri non l’abbiano fatto.

Quando ha capito che i pazienti covid se curati tempestivamente avrebbero potuto evitare l’ospedalizzazione? 

L’ho capito dall’esperienza. Durante la prima ondata i primi pazienti che iniziai a visitare, a causa della tanto acclamata vigile attesa, si trovavano sotto ossigeno e non saturavano e per questo motivo necessitavano di essere ricoverati. Quando invece iniziai a recarmi nelle loro abitazioni e incominciai, dopo averli visitati, a curarli, notai immediatamente che tutti quanti miglioravano e soprattutto non necessitavano di essere ospedalizzati. Per farla breve potei constatare in prima persona come l’arma più efficace per combattere il virus era proprio quello di curare i pazienti ai primi sintomi evitando così che il quadro clinico degenerasse e che quindi gli ospedali venissero presi d’assalto.

Vi sono stati nello specifico dei pazienti i cui quadri clinici sono peggiorati e sono stati poi ricoverati? 

Solo due pazienti sono stati ospedalizzati, uno di loro è stato costretto perché quando mi hanno chiamato per visitarlo era ormai troppo tardi, il virus aveva fatto i suoi danni e di conseguenza la situazione era peggiorata.

Qual è stata la principale difficoltà che ha incontrato? 

Durante la prima ondata la situazione era molto pesante rispetto a quella che vi è oggi, infatti non si trovava l’ossigeno. In quel periodo dovevo girare da una farmacia all’altra per cercare le bombole, e posso assicurare che non è stata una cosa semplice, anche perché, non essendo io un medico di medicina generale, non potevo prescrivere all’USCA di portare una bombola con l’ossigeno liquido, quindi ho dovuto cercarle personalmente in modo da poterle fornire ai miei pazienti.

Durante la prima ondata vi erano dei protocolli guida negli ospedali? 

Diciamo che all’inizio non c’erano protocolli guida, all’ospedale davano i farmaci anti Hiv che secondo me non c’entravano molto. In alcuni casi veniva somministrato il Remdesivir ma per entrambi, comunque, non si sapeva neanche molto bene che cosa facessero.

 Lei quali farmaci somministrava ai suoi pazienti? 

Avevo letto un vecchio articolo del professor Fauci del 2015 in cui scriveva che l’idrossiclorochina era un farmaco molto efficace contro la Sars e che a suo avviso poteva essere molto efficace anche per eventuali altri virus. A questo punto, rifacendomi su questa sua pubblicazione, la prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a procurarmi in farmacia l’idrossiclorochina. Chiaramente ho dato anche degli antinfiammatori per abbassare la febbre e lo stato di malessere di dolori, e in aggiunta a questi, ho dato anche una copertura antibiotica con la azitromicina. Vorrei aggiungere che in seguito sono usciti anche dei lavori del professor Raoult in Marsiglia in cui diceva che l’idrossiclorochina associata all’azitromicina come antibiotico e agli antinfiammatori aveva avuto ottimi risultati sui pazienti covid. Posso dire quindi che questo mi ha spinto a continuare su questa strada, anzi, ho cercato di divulgare la terapia adottata da me e da altri medici ai colleghi che ancora ignoravano tale terapia. Per questo motivo decisi di scrivere un tweet indirizzato ai medici in cui raccontavo che avevo avuto due pazienti ultranovantenni che inizialmente erano gravi e con tantissime patologie pregresse che in pochi giorni erano migliorati dopo la somministrazione di tale terapia, quindi facevo notare che questa poteva essere una buona cura.

Il tweet ottenne i risultati sperati? 

Diciamo che appena scrissi il tweet, il Prof. Burioni mi attaccò precisando che due casi non potevano essere presi in considerazione. Devo ammettere che la cosa mi lasciò stupito, considerando che un medico, dovrebbe pensare in scienza e coscienza e soprattutto dovrebbe cercare di capire come aiutare i propri pazienti. Comunque, sono poi nate le linee guida che noi tutti conosciamo.

Cosa può dire sull’idrossiclorochina, ossia questo farmaco utilizzato dai medici che applicano la terapia domiciliare? 

Posso dire che l’idrossiclorochina è un farmaco off label, nel senso che si usa per l’artrite reumatoide e per il lupus sistemico, per citarne alcuni, però, va precisato che è efficace nei primi giorni in cui il paziente inizia a manifestare i sintomi conducibili al covid.

Cosa intende dire quando dice: che è efficace nei primi giorni? 

Intendo dire che per essere efficace, il paziente dovrebbe iniziare la terapia con l’idrossiclorochina possibilmente la prima settimana o al massimo nei primi dieci giorni, perché altrimenti non si hanno gli effetti dovuti.

Quindi non va prescritta dopo? 

Io l’ho prescritta anche in seguito, però sicuramente è meno efficace.

Vi è qualche altro farmaco efficace in tutti gli stadi della malattia? 

Sì, vi è l’ivermectina, che noi sappiamo essere il più efficace in tutti gli stadi, ovvero anche in quelle persone con covid severo, per intenderci in quelli intubati, anche se poi in ospedale non gliela danno, ci sono molti lavori scientifici che ne dimostrano l’efficacia.

Perché in ospedale non viene somministrata l’ivermectina? 

Perché hanno dei protocolli stretti. Ho parlato con molti medici ospedalieri, chiedendo perché non somministravano tale farmaco ai pazienti, e loro rispondevano, dopo avermi ascoltato attentamente, che nonostante avessi ragione loro avevano dei protocolli da seguire e non potevano uscire da questi.

Cosa può dire nello specifico riguardo le terapie domiciliari sul covid?  

Per quanto riguarda le terapie domiciliari, sappiamo che la terapia esiste e che funziona, e non sono solo io a dirlo con i miei 800 pazienti curati, lo so da almeno 500 colleghi con cui ho parlato che ormai utilizzano lo stesso tipo di farmaci.

Utilizzate tutti gli stessi farmaci? 

Chiaramente vi possono essere delle piccole variazioni perché ogni caso è a sé stante. Non si può dare una terapia standard per tutti, quello che però voglio dire è che la cura esiste.

Perché non viene detto? 

Semplicemente perché l’articolo 4 di una legge dell’Unione Europea del 2006 ha permesso all’Ema, in deroga a tutti i regolamenti sui nuovi farmaci, sulle sperimentazioni e così via, di mettere in commercio, o per meglio dire di autorizzare provvisoriamente, un farmaco anche se è ancora in fase sperimentale, solo nel caso in cui non esista una terapia efficace per la malattia e per questo nessun governo europeo che ha impostato tutta la campagna vaccinale accetterà mai il concetto che esiste una terapia efficace.

Per quale motivo? 

Perché nel momento in cui un ministro della salute o una sentenza definitiva di un tribunale di uno dei Paesi Europei sancisce che la terapia esiste ed è efficace, immediatamente tutti i vaccini diventerebbero fuori legge, e dovrebbero bloccare la campagna vaccinale.

Cosa può dire riguardo a quello che viene consigliato dal Governo e dal Comitato Scientifico, ovvero la vigile attesa e il paracetamolo? 

Posso dire che il paracetamolo non è un antinfiammatorio ma è un farmaco che abbassa i livelli di glutatione con la conseguenza che riduce le difese dell’organismo, quindi è una cosa molto importante da precisare. Per cui, detto questo, è sbagliato come concetto già per conto suo. Riguardo la vigile attesa invece, si può dire che non abbia senso.

Per quale motivo? 

La vigile attesa non ha senso, visto che non esiste nessuna malattia in cui i medici consiglino di aspettare che diventi grave per poi essere ricoverati, e questo discorso vale sia che si parli di un tumore, sia che si parli di un problema cardiaco o di qualsiasi altra malattia. Come medico posso dire che questo è inammissibile, tanto è vero che io ho fatto ricorso al Tar del Lazio insieme ad altri tre colleghi e l’abbiamo vinto, poi, il Ministero e l’Aifa hanno a loro volta fatto opposizione davanti al Consiglio di Stato che ha dato loro ragione, ma attenzione, la sentenza del Consiglio di Stato che ci ha dato torto comunque prende una parte della sentenza favorevole del Tar del Lazio, perché dice che: “in scienza e coscienza un medico ha comunque il diritto e il dovere di curare come vuole a seconda del suo paziente”. Quindi, diciamo che tachipirina e vigile attesa non è vincolante, è l’indicazione che da il Ministero e se ne assume le sue responsabilità, ma non è vincolante.

Quindi? 

Quindi si parte immediatamente dal primo giorno con gli antinfiammatori, per citarne uno potrei dire un semplice acido acetilsalicilico, infatti la diffusione del virus che cerca di andare a colonizzare altre cellule e altri tessuti si riduce con gli antinfiammatori, anche perché l’infiammazione agevola l’ingresso del virus nelle altre cellule, quindi è fondamentale iniziare con questo farmaco, poi chiaramente bisogna subito contattare un medico che curi a casa, e cercare di avere già in prima o in seconda giornata una terapia.

Che differenza vi è tra l’idrossiclorochina e l’ivermectina? 

Innanzitutto sono entrambi dei farmaci che vengono utilizzati off label, ovvero non per i motivi per cui sono stati registrati, questo è fondamentale dirlo e il medico lo sa e deve saperlo. Per quel che concerne l’ivermectina, posso dire che da quanto ne sappiamo è molto più efficace, soprattutto perché somministrabile in qualsiasi fase. Mentre l’idrossiclorochina data in una fase molto avanzata serve a poco, l’ivermectina è ancora efficace, la usiamo nei cosiddetti “long covid”, che ormai sono tantissimi.

Per quale motivo? 

Perché molti “guariti”, ovvero coloro che hanno avuto il tampone negativo, continuano ad avere una determinata sintomatologia che non sempre è la stessa, ma è diversa da paziente a paziente, secondo me è data dal fatto che il virus è ancora circolante perché si è andato a nascondere come fanno altri virus.

Dove si possono nascondere? 

Si possono nascondere nei gangli nervosi come l’Herpes Virus, oppure come il virus dell’HIV, dietro la barriera ematoencefalica, dove non arrivano certi farmaci. A mio avviso il virus è ancora presente e continua a fare danni, e purtroppo ne ho visto anche di brutti e permanenti, per cui se l’ivermectina è efficace vuol dire che va a uccidere il virus e a bloccarne la replicazione.

Di fronte a sintomi riconducibili al virus bisogna attendere l’esito del tampone? 

No, io non attendo mai il tampone perché la percentuale di affidabilità del tampone non è altissima, e poi rischiamo di perdere molto tempo e la malattia va avanti, quindi bisogna intervenire subito, ovviamente faccio una diagnosi per determinare se mi trovo davanti un caso di covid oppure no. Voglio precisare che non inizio la terapia se uno ha avuto semplicemente un po’ di febbre. Vanno ricercati anche altri sintomi, che spesso il paziente non individua, come l’aumento di frequenza cardiaca o l’ingrossamento di un linfonodo.

Il cortisone e l’antibiotico vanno somministrati?

Assolutamente sì, anche se tengo a precisare che per ogni paziente va raccolta l’anamnesi e possibilmente va visitato, bisogna capire qual è la cura ideale per ogni individuo, anche se in alcuni paesi del Sud America o dell’India sono stati distribuiti dei kit che contenevano ivermectina 12 mg e 100 mg di azitromicina e questo ha ridotto moltissimo le morti. Comunque sia, in medicina è sempre meglio che sia il medico a decidere paziente per paziente la terapia più adatta.

A suo avviso qual è la migliore strategia da adottare per contrastare il virus? 

Secondo me, la strategia migliore sarebbe quella di fare una terapia precoce ai malati invece che tentare di ottenere un’immunità di gregge che di fatto non ci sarà mai, basta guardare i dati della Gran Bretagna, della Finlandia, di Israele, i Paesi dove ci sono stati molti vaccinati e nei quali adesso la situazione è degenerata. Da questo, infatti, si capisce che con un virus a Rna di questo tipo si avranno sempre molte mutazioni, e di conseguenza non si potrà ottenere un’immunità di gregge, quindi o continuiamo a vaccinare ogni mese le persone, con tutti gli eventuali effetti collaterali, o per meglio dire effetti avversi che già conosciamo, oppure, ed è ovvio che è la soluzione migliore, si curano i pazienti. Se fossero tutti curati probabilmente non morirebbe nessuno, e a questo punto avremmo risolto questo grosso problema che stiamo portando avanti e che continueremo a portarci avanti chissà per quanto tempo. Poi va precisato che tutti i medici sanno, perché è presente nei libri di microbiologia e di malattie infettive, che durante una pandemia non si deve vaccinare la popolazione, perché in questo modo si permette lo sviluppo delle varianti.

Cosa può dirci sulla variante Delta causata dai non vaccinati, secondo quanto riportato dal Prof. Bassetti?

Che è proprio il contrario, come ha scritto mesi fa il Prof. Garavelli, una campagna di vaccinazione non andrebbe mai fatta durante una pandemia, poiché seleziona le varianti. La buona novella è che i pazienti con la Delta, o con qualsiasi altra variante, rispondono ugualmente bene alla terapia.

E per quanto riguarda la terapia ospedaliera, c’è qualcosa di migliorabile?

Ritengo di sì. Il paziente che desatura con Covid severo, non va curato semplicemente per la polmonite interstiziale, sono i microtrombi invisibili alla Tac, che impediscono il passaggio di ossigeno dal polmone al sangue. Pertanto, in terapia intensiva, si dovrebbe dare l’eparina per infusione continua, per prevenirne di nuovi e l’urochinasi per sciogliere quelli già formati. Così potrebbero salvare gli intubati.

Che consiglio può dare alle persone che leggeranno la sua intervista? 

Sicuramente il mio consiglio è quello di non attendere, ma al primo sintomo o al primo dubbio prendere un antinfiammatorio che si ha in casa, poi cercare immediatamente un medico che lo possa curare. Nel caso in cui non dovessero trovare nessuno possono inviarmi un messaggio al numero che ho indicato sul profilo Twitter @AStramezzi, anche se a breve spero di riuscire a rendere scaricabile un’applicazione per iOS e Android in cui il paziente possa trovare velocemente e gratuitamente un medico che lo possa curare e monitorare.

Sledet.com ringrazia il prof. Andrea Stramezzi per l’intervista, e ad maiora!