Joe Biden il peccatore

Non hanno perso tempo. Subito dopo l’elezione del cattolico liberal Joe Biden alla “Casa Bianca”, nello scorso novembre, un gruppo consistente di vescovi della Conferenza episcopale statunitense ha posto, di propria iniziativa, il problema della partecipazione alla comunione eucaristica da parte del nuovo presidente eletto, dal momento che non si dichiara contrario alla legislazione, quando sia democraticamente votata, che permetta aborto, eutanasia e altri mali morali.

A lungo mi sono interrogato prima di intervenire, in quanto, io stesso come cristiano sono assolutamente contrario alle varie procedure di interruzione della gravidanza che, in sostanza si traducono nella soppressione di vite innocenti e indifese. Tuttavia qualche considerazione in merito mi sento di proporla, anche se la notizia, dopo un accenno della stampa, è stata rimossa e lo sarà, presumo, fino a quando la “commissione dottrinale” della summentovata Conferenza episcopale non si sarà pronunciata, nel prossimo novembre, forse con l’intenzione di “celebrare” l’anniversario della elezione escludendo Biden dai Sacramenti.

Faccio intanto qualche difficoltà a escludere il procedimento tempestivo di procedere, senza sospettare una larvata o esplicita preferenza delle eccellenze interessate per l’elezione di Trump. La mancata elezione e la pronta reazione. Ovviamente i presuli statunitensi considerando l’eutanasia e l’aborto come lesivi di “principi non negoziabili” ne hanno dimenticati altri ampiamente disattesi da Trump, non già per  inevitabile legittimazione di metodi democratici, sia pure dai risultati difformi da convincimenti morali, ma per iniziativa diretta e coercitiva come quella del respingimento anche violento dei profughi; gli stessi presuli hanno eluso il capitolo 25 di Matteo che pone il problema accoglimento dello straniero come discrimine dell’ultimo giudizio. Al punto che il card. Ladaria., prefetto della Congregazione della dottrina della fede, con intervento formale, ha fatto presente alla Conferenza statunitense che “sarebbe fuorviante, ogni dichiarazione che desse l’impressione che solo l’aborto e l’eutanasia costituiscono unico tema grave dell’insegnamento morale e sociale cattolico…” Insomma, quando si parla di “principi non negoziabili” bisogna metterceli tutti, anche per non dare l’impressione che si usano solo quelli che servono alla battaglia politica di parti, nel caso specifico, ben definite.

Qui però si pone un altra questione che abbiamo altra volta trattato, ma che nel ragionamento non possiamo non riprendere, per completezza di discorso. Il principio come tale non è mai negoziabile, per cui l’espressione “principi non negoziabili” costituisce una lampante tautologia. Il fatto è che in politica e nelle istituzione si punta sempre al massimo di bene possibile e non alla perfezione, la quale non è scontata mai; figuriamoci poi in tema di Sacramenti e delle norme che ne definiscono la relativa libertà di culto anche, ma non solo perché, anche dal punto di vista pastorale, la “Comunione non è la ricompensa dei santi, ma il pane dei peccatori” (parole di papa Francesco non proprio gradite a gran parte dell’episcopato U.S.A.).

Questo costituisce il solito problema. Ovviamente non ne consegue che in rispetto della coscienza personale, non si possa contestare una legge ritenuta moralmente illecita, ma non si può certo sovvertire l’ordine democratico, quando il proprio ruolo non lo permetta. Posso disubbidire personalmente e talora lo debbo anche fare (ricordiamo chi ha ubbidito a dittatori come Hitler e Stalin), con tutte le conseguenze del caso, ma nella legittimazione della dialettica politica non posso che puntare al male minore o al massimo di bene possibile. Un’eterna questione su cui il taglio netto può far male, molto male.