In lingua “Nahuathl” il nome Montezuma significa “colui che scaglia frecce contro il cielo”

Anselmo Pagani

In lingua “Nahuathl” il nome Montezuma significa “colui che scaglia frecce contro il cielo”.

Per un singolare scherza del destino, proprio perché raggiunto da un fitto lancio di pietre e dardi scagliatigli contro dal suo stesso popolo che un tempo l’aveva temuto e riverito come un dio, il 29 giungo del 1520 morì Montezuma II, Imperatore degli Aztechi.

Per sfortuna sua e degli Aztechi tutti, due anni prima sulle coste del Golfo del Messico era sbarcato lo spagnolo Hernan Cortes, un avventuriero audace, ambizioso e privo di scrupoli poi passato alla storia come il “Gran Conquistador”.

Partito nel 1517 da Cuba insieme ad un manipolo di mercenari e avanzi di galera ufficialmente con la missione di recuperare al credo cristiano in nome del re di Spagna i nativi americani dediti culto di divinità pagane, ma in realtà in cerca d’oro e potere, attraversò foreste ed aridi altipiani, scalò montagne e vulcani fino a raggiungere nel 1519 la vallata centrale del Messico e varcare le porte della sua meravigliosa capitale Tenochticlan (attuale Città del Messico), costruita su un arcipelago nel bel mezzo di un grande lago salmastro, ora scomparso.

Montezuma attendeva incuriosito e timoroso l’arrivo dello straniero, identificato dai suoi ambasciatori come Quetzalcoatl (“il dio serpente”) tradizionalmente raffigurato con la stessa barba ispida e nera che ornava il volto di Cortes.

Perciò Montezuma commise il grave errore d’inviare a quegli stranieri magnifici gioielli in oro massiccio, preparando in città un’accoglienza regale, il che non fece che accrescere la cupidigia degli Spagnoli perché, come Cortes era solito ripetere: ” I miei compagni e io soffriamo di una malattia che può essere curata solo con l’oro”.

Fattosi astutamente passare come l’incarnazione di Quetzalcoat, Cortes ebbe gioco facile nel convincere Montezuma della sua missione divina, arrivando a farsi da lui obbedire fino a chiedergli di porre fine ai sacrifici umani, distruggere gli idoli e farsi battezzare.

Per Montezuma, la cui religione contava già circa 200 divinità diverse, non fu certo un problema accogliere un nuovo dio, a condizione però che questo si aggiungesse e non rimpiazzasse tutti gli altri.

Peccato però che, partito Cortes per una missione, il suo vice Pedro de Alvarado, insospettito dai resoconti di alcune spie iniziò a temere che l’annuale festa di Toxcatl si sarebbe trasformata in una mattanza per lui e i suoi uomini, nonostante le rassicurazioni dategli da Montezuma che si era impegnato ad abolire i sacrifici umani nel corso delle celebrazioni religiose.

Si trattava forse della cerimonia propiziatoria più attesa e partecipata di tutto l’anno, durante la quale i sacerdoti invocavano il dio Tezcatlipaca affinché inviasse piogge copiose per porre fine alla stagione arida, irrorando la terra per renderla fertile.

In cambio, obbedendo ad una tradizione secolare, i sacerdoti a loro volta avrebbero irrorato i gradini della piramide sacra col sangue delle vittime sacrificali, che di solito erano prigionieri di guerra d’ambo i sessi, oltre a quattro vergini che avevano digiunato per 40 giorni e un giovane uomo, scelto al termine della festa dell’anno precedente, che rappresentava l’incarnazione del dio stesso.

A tutte queste vittime con un affilato coltello di ossidiana sarebbe stato cavato il cuore ancora pulsante dal torace.

Resisi dunque conto che quella sarebbe molto probabilmente stata la loro fine, gli Spagnoli decisero di agire per primi ammazzando a sangue freddo tutti i migliori guerrieri e generali aztechi che, inebriati da droghe e funghi allucinogeni, stavano danzando come forsennati in stato di trance davanti ai loro occhi, al rullo assordante dei tamburi.

La strage fu orribile e cruenta! A colpi di archibugio e falconetto gli europei abbatterono come birilli i danzatori semi-nudi e indifesi, e dove non arrivarono con le armi da fuoco si servirono delle loro lame di Toledo.

Questo massacro provocò una sollevazione generale da parte dei locali che costrinsero gli Spagnoli a barricarsi all’interno del palazzo imperiale, dove nel frattempo avevano fatto prigioniero Montezuma, al quale però il popolo iniziava a non obbedire più, ritenendolo troppo compromesso con gli invasori.

Il precipitoso rientro di Cortes e delle sue truppe in città riuscì a salvare per un soffio gli assediati e per cercare di calmare gli animi degli Aztechi in subbuglio Cortes fece portare a forza sul tetto del palazzo il recalcitrante Montezuma, affinché parlasse al suo popolo che però, appena lo vide, gli scagliò contro una gragnola di pietre e frecce, uccidendolo all’istante.

Questa fu dunque la mesta e rovinosa fine di un sovrano che pure era stato incredibilmente potente, temuto ed onorato, ma da morto non fu pianto, né rimpianto da nessuno.

Accompagna questo scritto “Montezuma”, pittogramma dal “Codice Mendoza”, 1540 circa, Biblioteca Bodleiana, Università di Oxford.