Massimo Sartelli:

Io ho fatto la mia prima dose di vaccino i primi di gennaio, perché come sanitario ritenevo non solo di tutelare i miei pazienti, ma anche di dare il buono esempio. Detto questo, qualsiasi sia la strategia scelta per comunicare il vaccino, è evidente che lo studio del comportamento umano non possa essere ignorato, poiché le motivazioni sottostanti il rifiuto e l’incertezza nei confronti dei vaccini sono estremamente complesse. Tra chi non si vuole vaccinare, una piccola quota è ideologicamente contrario, una quota maggiore ha delle resistenze, dovute anche ad una politica vaccinale, come per AstraZeneca, e una comunicazione che spesso sono state inadeguate per non dire deliranti. Su queste persone una informazione adeguata potrebbe essere sufficiente.
Un grosso errore che stiamo facendo è quello di descrivere il vaccino come un obbligo piuttosto che come un beneficio, e considerare le persone che hanno resistenze semplicemente come untori, senza capire i dubbi e le resistenze che essi hanno. Questo lo dico perché penso che questo estremismo vaccinale volto all’obbligo e non al beneficio, all’offesa e non alla comunicazione, rischia di abbassarsi al livello dei no vax e difficilmente riuscirà a recuperare i due milioni e mezzo di over 60 non ancora vaccinati con nessuna dose.
Un sistema virtuoso oltre che vaccinare la persone convinte dovrebbe avere l’ambizione di convincere le persone incerte.