Non mi ha mai confortato nessuna pubblicità per “Quei Giorni” perché provo disagio anche a stare seduta, io che mi giustificavo all’ora di ginnastica e mandavo a fanculo la prof che mi obbligava a correre per la palestra perché “aiuta a sopportare”.
Avevo reagito male già in prima media, quando la mia compagna di classe accorgendosi della macchia nella seggiola in legno, si era avvicinata alla professoressa bisbigliandole all’orecchio e la stronza ad alta voce aveva blaterato:
«Dì alla bidella di darti qualcosa per pulire, chiama a casa e aspetta in bagno che ti vengano a prendere». Rideva, la bastarda, forse era in menopausa precoce e provava un gusto cinico a umiliarla.
“Dismenorrea”, mai presa in considerazione perché non vomitavo però nessuna medicina funzionava, ero solo una che si lamentava. Da allora non c’è stata battaglia sociale che potesse liberarmi dal conflitto con il mio corpo.
Soffro ancora per le gocce sul pavimento della roulotte, la vergogna perché non riuscivo a lavarmi senza sporcare, l’imbarazzo davanti ai miei fratelli, io che volevo comandare tutti ero una stupida femmina affetta da una disfunzione fisica e un blocco psicologico di cui non si parlava. Ero donna, imperfetta. Basta.
«La Michela è diventata signorina».
«Di già!? Resti bassa, non cresci più, lo sai che puoi restare incinta?» a tredici anni, con il poster di Simon Le Bon in camera. Andate a cagare ovunque siete vecchie megere.
«La ragazza è mestruata?» chiese l’infermiera del reparto oculistico. Non so cos’era più rosso. La mia faccia o lo stronzo.
Stavo male e piangevo per la rabbia e il dolore, tracciavo solchi profondi sul pavimento, mia madre capiva, ma non mi bastava. Mi sentivo inutile, perché non potevo essere un maschio? I denti del giudizio sono niente in confronto. Ogni mese era un anticipo delle doglie.
Le convinzioni di inadeguatezza si sono radicate così in profondità da non riuscire più a sradicarle.
Odio il marchese da sempre e con lui odio il mio corpo perché non può essere femminile senza macchiare, senza i crampi all’addome e alla schiena, più che rinnovare sangue succhia energia come un vampiro, rovinava la discoteca, poi le domeniche al mare, le sere al ristorante, le vacanze in cerca di una farmacia.
Sono multitasking e multitampax.
Che cazzata. Ormai l’ho scritta, non la cancello.
Sono passata dai pannolini-oni-oni che a diciotto anni sembrava di essere incontinente ai Lines Seta, ai proiettili calibro 22. Davvero è l’imposta il problema maggiore? Beate voi!
Fatti per me dalle donne come me… Sicure? Perché se io mi dimentico di averlo sono casini grossi. Mai fatta la ruota, mai lanciata col paracadute.
I periodi migliori li ho vissuti in gravidanza, mente e utero in sintonia. Anche con la polmonite bilaterale non mi ha lasciata libera, lo stronzo. Mi ha prosciugata.
Tutti dicono che la menopausa sarà peggiore, volete dire che sarà l’inferno? Già combatto i cambi repentini di umore, se avessi un macete in dieci giorni farei una strage, consumo cucchiaini di magnesio, ingurgito carboidrati come fossi un elefante e rimbalzo come una palla gonfiabile.
Perché non c’è un periodo di tregua? Si sono inventati l’anno sabbatico. Facciamo il triennio. Niente fastidi, nessuna confezione viola, blu, verde di scorta nel cassetto, nessuna app da aggiornare. Perché mia madre ha provato a insegnarmi a scriverlo, a scuola disegnavo un palloncino rosso che sembrava più una bomba a orologeria. Poi ho scoperto che è preciso come un orologio svizzero. L’unica cosa in cui non sono caotica e confusa.
Con le vampate da bruciatorista e la condensa di un chiller sarei a posto.