Al netto della solita imputridita zavorra al seguito dell’altrettanto putrido capitone, gli Italiani stanno riscoprendo nelle pieghe della propria anima il meraviglioso sentimento della solidarietà.

Davanti alle immagini strazianti che giungono dall’Afghanistan non si può rimanere impassibili, meno che mai se esse vanno a poggiarsi su quel senso di colpa a carico di tutti noi occidentali che anche il meno interessato alla politica internazionale non può fare a meno di percepire. Venti anni durante i quali abbiamo giocherellato con 30 milioni di persone come se fossero un gettone da buttare con disinvoltura sul tappeto verde, tanto che si vinca o si perda sapevamo che il conto lo avrebbero pagato loro.
Abbiamo fatto molto peggio col miliardo di persone che vivono in Africa, lo abbiamo fatto non per vent’anni ma per cinque secoli e certo le immagini che ci arrivano dal Mediterraneo centrale non sono meno strazianti di quelle dell’aeroporto di Kabul, eppure alla fetida zavorra con cui ho aperto al post si aggiunge una massa di brave persone che non farebbero del male a una mosca ma che verso gli Africani non provano alcun senso di colpa e che non esitano a fare propri gli slogan della marmaglia fascioleghista, non possiamo accoglierli tutti e aiutiamoli a casa loro.
Provare a capire questa dissonanza nelle stesse anime è un’operazione rischiosa che porta a identificare le cause nell’ignoranza della storia anche recente, nell’egoismo di chi li aiuterebbe volentieri se solo non lo disturbassero mentre sonnecchia sotto l’ombrellone ma quel che è peggio e che faccio persino fatica a scrivere, di chi proprio non riesce a identificare come suoi simili chi ha la sfortuna di ricoprire i propri organi interni con una pelle del colore sbagliato.
Godiamoci questo momento di solidarietà generalizzata ma una volta passata la crisi e l’emotività che l’accompagna sarebbe bello se ci ricordassimo che i kalashnikov di Boko Haram e delle bande del Darfur non sono diversi da quelli dei Talebani, e che il pianto disperato di un bambino è identico in tutto il mondo.

Mario Piazza

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