Si misero sul divano. Si abbracciarono. Lei mise la testa sul suo petto. Poi si sdraiarono e si rannicchiarono. Respiravano piano. Nella penombra del soggiorno solo il ticchettio di un orologio e i due loro respiri che erano di pochissimo sfasati, a fatica si distinguevano, sembravano a tratti emessi da un unico fiato. Lui le accarezzava i capelli. Lei le prendeva la mano e gliela stringeva forte. Insomma erano in vena di tenerezze, di effusioni. Non avevano ventilatore né condizionatore ed era già iniziata l’estate. Poco più in là in cucina c’erano ancora i piatti e le pentole da lavare. La lavastoviglie non funzionava. Avrebbero dovuto chiamare un tecnico. Nel frattempo avrebbero dovuto lavare tutto a mano. Si amavano ma per non litigare per futili motivi avevano dovuto dividersi i compiti. Lui apparecchiava il tavolo, lavava i piatti, teneva in ordine la cucina, andava al supermercato a fare compere. Lei cucinava ogni pasto. Lui ruppe il silenzio e disse: “quella guaina di gomma di lattice per ora ti ha salvato la vita.”

Lei rispose contrariata: “non è assolutamente vero. L’Aids non è più una malattia mortale nel mondo occidentale. Si può prendere dei farmaci e da sieropositivi avere una aspettativa di vita uguale ai sani.”

“Non mi piaci per niente quando dici simili sciocchezze. È sempre meglio che non ti contagi. Non voglio essere in preda ai rimorsi. Non voglio sporcarmi la coscienza.”

“E se accadesse lo stesso? Se tutto accadesse involontariamente?”

“Anche allora avrei molti sensi di colpa. Avrei senz’altro la colpa di aver iniziato e continuato la nostra relazione. Forse sono stato e sono egoista. Forse penso solo a me. Per ora non c’è stato nessun danno, nessuna lesione personale gravissima per usare termini giuridici. Dovrei lasciarti e tu dovresti essere libera di metterti con un altro. Forse a questo mondo per quanto riguarda le malattie infettive ci sono due mondi che devono restare separati, due realtà che non devono confondersi, non devono entrare in contatto: i sani e i malati”. 

“Non hai considerato che tu non sei malato ma un portatore sano. Non hai considerato che esiste un terzo mondo che è quello costituito da persone con la condizione sierologica incerta. “

“Non perderti in sottili distinguo. Io andavo solo alla sostanza, al cuore del problema.”

“Insomma per ora è sempre andata bene. L’abbiamo sempre fatto con il preservativo. Abbiamo usato tutte le precauzioni. Io non sono rimasta contagiata, anche se vorrei essere contagiata volontariamente. Per me sarebbe un atto di amore, un atto di condivisione, un donarsi al mio partner. In fondo avremo lo stesso virus nel sangue; condivideremo ansie, preoccupazioni, sofferenze, problemi della malattia. Mi piacerebbe fare un bel patto di sangue con te. Così non dovremmo più stare attenti a niente.”

“Quando fai questi discorsi mi viene il ribrezzo, un vero voltastomaco. Non puoi essere così sprezzante del pericolo. Il rischio deve essere minimo, quasi nullo per te. Altrimenti sarebbe meglio lasciarsi. Penso che forse sarebbe più giusto se io mi mettessi con una sieropositiva e tu con un uomo sano. Io penso sempre a tutto per non infettarti. Ad esempio quando mi sanguinano le gengive non ti bacio mai.”

Non terminarono la discussione perché furono entrambi sopraffatti dal sonno. La sospesero momentaneamente. Lei si svegliò nel cuore della notte. Guardò lui che dormiva, inconsapevole di tutto. Le balenò nella mente una idea, che non aveva mai covato prima. Una idea malsana, ma che prese per un istante il sopravvento nella sua psiche. Pensò che lei era una infermiera e sapeva dare le punture. Sapeva usare le siringhe. In definitiva pensò che si trattava di estrarre un poco di  sangue da una spalla di lui ed iniettarselo nel suo braccio. Tutto questo mentre lui dormiva. Sarebbe avvenuto il contagio tanto desiderato. Ma fu solo un attimo. Poi ebbe dei ripensamenti, considerò la cosa troppo avventata, fuori luogo e balorda. Pensò che lui non avrebbe mai approvato e forse lo avrebbe perso definitivamente. Non poteva andare contro la sua volontà in questo modo e addirittura prenderlo a tradimento. Poi iniziò a pensare che se il suo compagno si fosse sentito male lei avrebbe potuto prendersi cura, essendo ancora in forza. Lui si curava, prendeva le medicine, ma da un giorno all’altro avrebbe potuto anche finire in Aids conclamato. A volte si chiedeva quanto restasse da vivere al suo compagno e se avesse sofferto o meno. A volte nella vita si fa tanti progetti, si fa tanti piani per il futuro. Erano ancora giovani. Forse restava molto da campare a entrambi. Non lo sapeva che quella era l’ultima loro notte e che sarebbero morti travolti da un camion, sopraggiunto a velocità elevatissima, mentre attraversavano sulle strisce per recarsi al lavoro  la mattina dopo. Morirono mano nella mano e fu proprio in quell’istante fatale che avvenne il contagio, peraltro del tutto ininfluente ormai. Naturalmente non si accorsero di niente.